Ad un occhio superficiale l’analisi di Napoli–Genoa potrebbe semplificarsi nel dualismo tra un calcio moderno, quello proposto da Patrick Vieira, che mira effettivamente a sostenere con ambizione la fase di possesso. Ed una filosofia che, al contrario, sembra legata a princìpi ormai fuori moda. Perciò c’è una visione eccessivamente critica persino nei confronti degli azzurri. Per qualcuno troppo fieri di cavalcare l’idea di Antonio Conte, che va a braccetto con la caratteristica tipica del gioco all’italiana. Cioè, in primis, meglio non correre rischi. Ovviamente, giusto o sbagliato che sia, poi i fatti smentiscono in maniera categoria tale dicotomia.
Insomma, non sempre è possibile dare alle cose lo stesso valore: il Napoli per esempio, considera una qualità vincere le partite con il minimo sforzo. Per cui, la tendenza a controllare gli spazi, associati alla voglia di razionalizzare le energie, modulando i ritmi, non è necessariamente una strategia negativa. Questo però non significa che insegua solamente giocate sicure. Anzi, spesso sono proprio le soluzioni più coraggiose a garantire la proverbiale imprevedibilità espressa dal calcio fluido di Conte.
Viera l’ha giocata fino in fondo
Era destino che i rossoblù rimassero in scia. Per cui, ai padroni di casa è toccato il compito di risolvere la trappola predisposta da un avversario ben organizzato. Un enigma il 4-2-3-1 disegnato da Vieira, che ha scelto di delegare la copertura centrale a due metodisti (Frendrup e Masini), blindando quella porzione di campo. Chiara l’intenzione di disinnescare le ricezioni alle spalle della mediana con cui il Napoli scardina solitamente le certezze altrui. Giocarsela col pressing, alzare il livello dell’intensità, per vincere i duelli individuali. Quindi, ripartire, aggrappandosi agli strappi di Messias. Mentre erano Norton-Cuffy e Vitinha a cercare di aggirare la squadra partenopea sui fianchi. Peccato che Pinamonti non abbia ricompensato i suoi (pur ghiacciando il sangue nelle vene alla gente del Maradona, con la zuccata stampata sulla traversa), aiutando poco, così da favorire la miglior versione di Rrahmani.
Sicuramente il piano-gara immaginato dagli ospiti, accorciare costantemente verso il possessore per fare densità e sporcare la costruzione manovrata, affinché l’uscita degli azzurri dalla propria metà campo diventasse problematica, genera oggettive complicazioni. Per sottrarsi alla contrapposizione uomo su uomo, funzionale a chiudere ai suoi ogni traccia interna, Conte si è affidato soprattutto ad Anguissa per consolidare il palleggio. E McTominay, devastante quando si inserisce nell’half space. D’altronde, il tecnico salentino vuole proprio riempire i corridoi intermedi, esplorando le connessioni in catena, così da sviluppare azioni pericolose attraverso la collaborazione di Politano e Spinazzola. Il numero 21 dimostra di essere un giocatore fuori scala le volte che riesce a guadagnare un vantaggio posizionale, conducendo verso il centro e sgusciando alla marcatura di Ahanor. Sull’altro versante, era lampante la volontà di associare l’ex giallorosso a McT: Leonardo si abbassava per mettersi in luce e ricevere lo scarico; nel frattempo lo scozzese ruotava, aprendosi alla massima ampiezza, occupando la zona dietro Frendrup.
In tal senso, il 4-4-2 ha dato effettivamente una maggiore stabilità al Napoli, che rimane comunque una squadra con alti e bassi nel produrre occasioni da rete in numero massiccio. Nonostante l’incisività nei sedici metri venga assicurata da valide alternative all’atto della finalizzazione. In questo scenario a tratti bloccato non va trascurato il tentativo di appoggiarsi alla fisicità di Lukaku, combinandola con la capacità di Raspadori nel legare il gioco sulla trequarti. Magari Big Rom non è più all’apice della sua dirompente muscolarità. Nondimeno, aumentare il coinvolgimento del belga equivale a dare profondità alla manovra, sfruttando al contempo le caratteristiche da seconda punta pura di Jack, che almeno nel primo tempo non ha avuto un peso specifico muovendosi tra le linee. Infatti, non doveva dare nessun riferimento, creando i presupposti per un tridente tatticamente atipico; ergo, assai versatile nel modo peculiare di attaccare, formato da una delle mezzali, che si allungava in avanti. Purtroppo la squadra non è riuscita ad attivarlo adeguatamente, obbligandolo a vagare come un’anima in pena, braccato da Otoa, intelligente nel rompere l’allineamento, e andarlo a prendere altissimo.
Due gol regalati
Le grandi squadre sono fatte di protagonisti, che talvolta hanno la strabiliante sagacia di vestirsi da preziosi comprimari, dalla innegabile utilità nelle letture. Eccolo, allora, Lukaku capitalizzare queste situazioni, e trascinare i compagni. C’è tutto il suo repertorio nel gol cha ha sbloccato il match di stasera: un concentrato di forza e determinazione, che gli ha permesso di fare a sportellate, duellando con Vasquez. Il centravanti è un predatore sornione, specialmente quando viene circondato da maglie genoane. Dà l’impressione di voler giocare di sponda, magari appoggiarsi a chi arriva a rimorchio, come il più umile dei gregari. Un mero inganno per eludere la marcatura. Presumibilmente, la difesa del Genoa stenta ancora a capire cosa sia davvero successo, perché McTominay strappa con una freddezza fuori dal comune. E dopo confeziona un assist da antologia. La rasoiata dell’1-0 è una perfetta conseguenza.
Sembrava tutto sotto controllo, invece, poco dopo, il Genoa trova un rocambolesco pareggio, sugli sviluppi di una punizione calciata in the box. Sul pallone vagante si fionda Ahanor, la cui deviazione angolata verso il primo palo trova l’opposizione di Meret, che nello scendere a terra si butta letteralmente in porta. Va rimarcata l’assoluta mancanza di reattività di chiunque tra i partenopei. Circostanza sciaguratamente ripetuta in occasione del definitivo 2-2, con una palla solo apparentemente innocua, filtrata in maniera rocambolesca e arrivata sulla testa di Vasquez, mentre tutti giocavano alle belle statuine.
Adesso niente panico
Nel secondo tempo la partita ha seguito un copione simile, nonostante il Genoa abbia perso progressivamente brillantezza nella pressione alta, concedendo al Napoli qualche fase di possesso più prolungata. Tuttavia, a rompere gli equilibri difensivi ha contribuito il sostegno di un ispiratissimo McTominay. Lo scozzese ha scardinato la compattezza difensiva con uno strappo in conduzione; poi serve con perfetto timing sulla la corsa Raspadori, lesto ad aggredire la profondità. La differenza di rendimento dell’ex Sassuolo, rientrato dagli spogliatoi con un’altra verve, sta nell’aver capito e cominciato a tagliare fuori Otoa, smarcandosi con il classico movimento a mezza luna, utile a creare separazione.
Da lì in avanti ci sono stati altri momenti che hanno creato un sussulto nei tifosi, fino al pareggio già raccontato. Se il Napoli può recriminare su qualcosa, è di essersi trovato davanti un avversario particolarmente reattivo e tenace, che non gli ha regalato (come giusto che sia) nulla. Vedremo cosa accadrà nelle ultime due giornate: c’è molto da decidere. Con la vittoria dell’Inter nel nubifragio di Torino, la strada per lo scudetto ha preso la deriva peggiore. Probabilmente, si assegnerà in volata. Ma adesso nessuno parli di “braccino corto” o attributi limitati. La capolista – perché tale resta la squadra di Conte, seppur con un risicatissimo punticino di margine sui nerazzurri -, non è sembrata farsi condizionare troppo dallo stato emotivo della partita. In ogni caso, ora urge non farsi prendere dal panico; razionalizzare una strategia in vista della trasferta di Parma ed eseguirla con cinica lucidità.
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