Antonio Conte sta avendo un impatto determinante sull’evoluzione di Matteo Politano. Specialmente adesso che l’allenatore, causa infortuni vari e lungodegenze assortite, ha scelto un atipico 3-5-2 come sistema di gioco, piuttosto di rivoltare la squadra da cima a fondo. Perciò, in piena emergenza, l’Uomo del Salento non ha avuto alcun dubbio nel chiedere al suo esterno di interpretare il ruolo in maniera globale, cioè a tutta fascia. Ampliandone dunque la dimensione spazio-temporale. Ecco, appunto: invece di limitarsi alle proiezioni offensive, oggi il numero 21 sta integrando le sue innegabili abilità creative con nuove skill. Una costante crescita difensiva, tale da convincere Conte a utilizzarlo in zone diverse dal solito.
Per cui cambia decisamente la percezione tattica dei partenopei; uno scenario dove McTominay non è obbligato a scivolare lateralmente, per disegnare un 4-4-2 in fase di non possesso. Bensì, gli azzurri affrontano gli avversari con tre centrali: Rrahmani è il vero regista arretrato, mentre Di Lorenzo funge da leader emotivo e carismatico sul centrodestra. A completare la linea, Olivera: profilo maturo per essere un punto di riferimento assoluto anche in qualità di braccetto mancino. A fare la differenza, quindi, la collocazione in campo di Politano e Spinazzola. E se l’ex giallorosso era comunque abituato a incendiare la corsia di competenza, con inserimenti fino al limite dell’area opposta, accompagnati poi da lunghe diagonali di copertura, Matteo sta raggiungendo un livello prestativo davvero eccellente, trasformandosi in un calciatore più libero nei movimenti; nonché maggiormente responsabilizzato nei compiti da assolvere.
Insomma, Conte vuole che sia proprio Politano a garantire dosi supplementari di energia, restando pienamente in partita sopra e sottopalla. Giusto o sbagliato che sia, appare evidente l’inversione di tendenza rispetto alla squadra sicuramente meno pragmatica in cui uno straripante Neres (e prim’ancora Kvaratskhelia) puntava continuamente i terzini, e isolandosi in situazione di uno contro uno, incuteva un reverenziale terrore psicologico nel dirimpettaio. Chiaro che ci può stare: offensive player del calibro del brasiliano spesso risolvono i match. Anzi, lo fanno da sempre. Attualmente, però, il collettivo è diventato più importante delle individualità: una sensazione che si percepisce soprattutto quando a spostare gli equilibri provvedono gli adattamenti tattici del “mister” salentino.
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