In questi mesi il karate targato FIJLKAM ha avuto sonanti certezze dal kumite (combattimento a contatto controllato). Le ultime, in ordine di tempo, sono arrivate dalla Premier League di Rabat, la più importante competizione, riservata ai primi 32 atleti del ranking WKF per ogni categoria. Un appuntamento cruciale per i “top player” del tatami, la tappa disputata nella capitale del Marocco. Infatti, era l’ultima opportunità di guadagnare punti validi per la qualificazione ai Campionati Mondiali in programma a novembre al Cairo. Senza dimenticare che nel mese di ottobre si terrà a Parigi la gara di qualificazione “secca”, ultima àncora di salvataggio per strappare il pass. Proprio per questo motivo l’Italia ha partecipato al completo, rientrando dalla trasferta con un bottino di 4 medaglie. Prima nel medagliere con 2 ori, Matteo Avanzini (+84 kg) ed Erminia Perfetto (-50 kg). Oltre a 2 bronzi: Michele Martina (84 kg), e Terryana D’Onofrio nel kata femminile. Superata per numero complessivo di medaglie conquistate solamente da Giappone (8 podi, ma ben 5 bronzi) ed Egitto (6 podi, soltanto 1 oro).

Oggi il dominio azzurro può apparire scontato. Al contempo rappresenta la conferma di un preciso trend, specialmente sulla scena internazionale. A spiegarcelo provvede il Maestro Antonio Califano, direttore tecnico di una delle società più vincenti del panorama nazionale e internazionale, la Shirai Club San Valentino.

Le cifre non mentono: in quasi ogni manifestazione, tra seniores e giovanili, siano Europei, Mondiali o Premier League, sono vent’anni che gli atleti della Shirai fanno da punto di riferimento sul piano nazionale e soprattutto internazionale, con centinaia di medaglie. A partire dal lontano 2012, con Vastola (argento all’Open di Parigi), una delle prime medaglie italiane in questo circuito. La costanza dei risultati fa la differenza; investire il proprio tempo nella ricerca scientifica e multidisciplinare. Affinché un atleta diventi sempre più performante. Sono passate almeno tre/quattro generazioni di agonisti; un ricambio naturale che si spiega con una base forte, frutto di una efficace sintesi delle tante competenze che contribuiscono a formare un atleta completo. Lavorando per esempio nelle fasi sensibili dello sviluppo sulle capacità coordinative e sul karate ludico”.

Certi obiettivi si raggiungano esclusivamente attraverso il lavoro quotidiano e l’applicazione di precise metodologie.

La curiosità è sempre stata una mia prerogativa, sin da quando ero un giovane tecnico. Rappresenta la scintilla rispetto a certe idee. Ma poi bisogna riuscire a convertirla in risultati. Che sono frutto di aggiornamento continuo. La determinazione, da sola, non basta. Il segreto rimane la programmazione. Una oculata periodizzazione fornisce gli strumenti adeguati a tutti quelli che vogliono davvero migliorare. Lo studio ti consente di stare un passo davanti alla concorrenza. Altrimenti si finisce per imitare gli altri, con il serio pericolo di scimmiottare chi ha altre caratteristiche, facendo così una brutta copia rispetto al modello prestativo originale”.

Lavorare senza seguire le mode

Insomma, nonostante l’agonismo non sia una scienza esatta c’è un gigantesco filo conduttore che dà credito alle idee ed alla profonda conoscenza di Antonio Califano. Giusto, perciò, riconoscerne i meriti. Per comprendere l’altissima competitività raggiunta basta ricordare il brillante palmarès, talmente ricco, da confermare i suoi ragazzi (e ragazze) tra migliori al mondo.

Tra seniores e giovanili abbiamo conquistato complessivamente 34 medaglie agli Europei e 14 ai Mondiali. Solo nell’ultimo anno mi piace ricordare l’accelerazione incredibile, con 4 finali Mondiali (2 per l’oro e 2 per il bronzo), che hanno determinato poi il primo posto di Emanuele Califano e Ludovica Legittimo, il terzo posto di Anna Pia Desiderio, oltre al quinto posto di Apicella. E tre finali Europee: oro per Califano e Apicella, argento per Legittimo”.

Spesso ci si lascia ingannare dal risultato, per cui non si valuta la prestazione complessiva. Invece a questi livelli, ammirando la stoffa di atleti d’élite, si intrecciano momenti di gara funzionali a stabilire la deriva che sta prendendo il kumite. In occasioni come questa, dunque, il commento non è mai facile, perché equivale ad analizzare la qualità delle posture, la pulizia dei gesti; mosse e relative contromosse messe in gioco dai contendenti, sulla scorta di un preciso orientamento.

Personalmente, ho l’impressione che la tendenza della WKF – seguita anche dall’Italia – stia andando verso la quantità, intesa come numeri altissimi di partecipanti ai vari tornei, a scapito della qualità. Un andamento generale, quasi scenografico, che si riflette sui criteri arbitrali. L’innovazione del joystick, cioè il sistema elettronico di attribuzione dei punti, che ha sostituito le bandierine, non solo ha allontanato fisicamente dal tatami gli arbitri, ponendoli in una condizione sfavorevole per visualizzare le tecniche. Ma ha alimentato una certa mancanza di uniformità nei giudizi, considerando che il sistema registra il punto solamente quando due o più giudici lo assegnano contestualmente in un brevissimo arco di tempo. Partorendo un regolamento complicato da interpretare in maniera sempre univoca”.

Califano è “padre putativo” – tra gli altri – di Angelo Crescenzo, uno dei più “anziani” del gruppo della Nazionale. Un vincente per antonomasia, in grado di annichilire con la pulizia delle sue tecniche di braccia e gambe chiunque si frapponesse tra lui e la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo. Una interpretazione sempre propositiva nella strategia di gara, che gli ha permesso di non arrendersi al cospetto di un passaggio a vuoto, rimanendo concentrato al rientro dopo un anno ai margini delle gare, causa infortunio.

E’ stato fermo un anno e dopo qualche gara di avvicinamento per acclimatarsi al rientro, ha dovuto subito affrontare un calendario fitto di gare impegnative. Nonostante si sia allenato bene, forse ha subito un po’ la necessità di ritrovare il giusto timing, la gestione degli spazi. Pagando pure una certa tendenza arbitrale che preferisce premiare chi enfatizza la tecnica, magari punendo oltremodo atleti come Angelo: un metodico del combattimento, cui piace liberare la fluidità delle tecniche, combinando l’arsenale offensivo, sia di gambe che con le braccia. Senza trascurare mai lo zanshin. Ovvero, quella consapevolezza nel mantenere immediatamente il focus attentivo sull’avversario dopo aver concluso un attacco”.

Dinamismo e strutture complesse

La deriva internazionale impone allora una riflessione su strategie nette, tra chi ha radicalizzato il combattimento di rimessa, e quelli che attuano un pressing piuttosto aggressivo, asfissiante.

Ci sono realtà come l’Egitto o la Giordania dove gli atleti hanno un approccio attendista. Scelgono di studiare l’avversario, molto concentrati sulla distanza, dedicando un’attenzione particolare al lavoro in linea. Quando partono, però lo fanno in maniera talmente veloce, che poi diventa complicato per l’avversario assorbire l’attacco. Ma ciascun paese ha un suo stile, con precise caratteristiche tecnico-tattiche. Noi, per esempio, dovremmo insistere sul dinamismo, sugli spostamenti laterali, sulla capacità di creare angoli tali da non offrire un facile bersaglio. Avere dinamismo motorio permette di adeguarsi, trovando la migliore soluzione possibile in funzione dell’avversario di turno. Non bisognerebbe snaturare il proprio patrimonio per seguire una tendenza; al contrario, andrebbe preservato e incrementato”.

Il tempo è sempre galantuomo con chi lavora con piglio da visionario. E’ abbastanza indicativo che oltre alla qualificazione olimpica di Crescenzo, la Shirai annoveri anche un altro pezzetto di storia del karate italiano, grazie a Rosario Ruggiero: bronzo nella categoria -68 kg alle Olimpiadi Giovanili di Buenos Aires nel 2018. Ennesima emanazione di atleta che ha elevato ad arte il kumite sportivo. In tal senso, Califano – rispetto alle mode passeggere – non ha mai trascurato il concetto di difesa, strutturando la fase difensiva in tutte le sue declinazioni.

La tendenza attuale a livello internazionale difficilmente dedica molto spazio alla difesa attiva o passiva; in molti si limitano a chiudere la distanza quando parte l’avversario, con la conseguenza pratica che l’arbitro assegna il punto a entrambi, oppure non attribuisce alcunché. Così però non si dà l’opportunità agli atleti maggiormente dotati, che proiettano l’avversario non solo in situazione propositiva, ma anche dal clinch. Oppure preparano le tecniche con traiettorie pulite. Bisogna lavorare per esempio, sulle interazioni, che esaltano la percezione del giusto timing, sia in attacco che nell’anticipo. Stimolare dinamismo e varietà nei colpi, tirando con entrambe le guardie, jodan e chudan, oppure mettendosi a specchio”.

La dimostrazione che tutto ruota attorno alle idee, talmente forti da realizzare una vera rivoluzione.

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