L’espulsione di Di Lorenzo dopo 21 minuti avrebbe abbattuto chiunque non possedesse dosi massicce di cuore, cervello e attributi elefantiaci. Il match dell’Etihad si mette subito in salita, ma invece di condannare il Napoli ad un ruolo da comprimario, poco altro che una mera comparsa al cospetto del Manchester City, finisce per dare una nuova consapevolezza agli azzurri: forti mentalmente, oltre che tatticamente (quasi) impeccabili. Haaland e Doku riescono a far breccia nel muro eretto da Conte, acuendo così una sgradevole sensazione, troppo vicina al rimpianto, per non generare frustrazione nell’ambiente partenopeo. E’ davvero mortificante, infatti, non aver potuto giocare alla pari con i Citizens. La sconfitta, tuttavia, non scalfisce la capacità del tecnico salentino, che aveva predisposto un piano-gara assai coraggioso, orientato a prendere la squadra di Guardiola molto in alto, estremizzando la pressione sin dentro la trequarti altrui, con l’intenzione di abbassarne il baricentro. Ovvio che poi l’inferiorità numerica abbia cambiato radicalmente la strategia dei Campioni d’Italia. Nondimeno, resta netta l’impressione che la scelta di essere subito aggressivi, e andare uomo contro uomo, fosse l’atteggiamento giusto per rovinare la serata ai padroni di casa.

Non male, dunque, l’idea di asfissiare le fonti di produzione del gioco avversario sin dalla prima costruzione: Lobotka accoppiato a Rodri, con McTominayAnguissa intenzionati a schermare Bernardo Silva e Reijnders, sporcandogli qualsiasi tracce pulita, stava dando fiducia al Napoli. Guardiola ha risposto ripartendo velocemente, sfruttando al meglio le caratteristiche dei laterali. In particolare O’Reilly, nominalmente schierato da terzino sinistro, reinventato difensore proprio dall’allenatore catalano, garantiva l’ampiezza, in virtù di un sostrato da mezzala. Per cui, gamba tonica e piedi educatissimi, abbinati a una certa fisicità, obbligavano gli azzurri a una difesa a 5. Con Politano che assorbiva il dirimpettaio; se non addirittura a sei, quando anche Khusanov prendeva campo, seguito da Spinazzola. Questo contesto consentiva a Foden e Doku di stringere la posizione, occupando i corridoi intermedi, liberi di ricevere lo scarico e innescare i ribaltamenti di fronte, oppure imbucare su Haaland.

Certezze difensive

Al di là della deriva presa dalla partita, con il Napoli ormai costretto a sopportare l’inferiorità numerica, Conte torna dalla trasferta in Inghilterra con alcune certezze. Che magari, ad un’analisi superficiale, influenzata pure dalla sconfitta, possono apparire meno scontate di quanto non sembrino.

In primis, c’è un aspetto da non sottovalutare. Ovvero, la lectio magistralis difensiva tenuta al cospetto di un “professore” a livello tattico del calibro di Guardiola. Tutti conoscono le abilità di Haaland, nell’usare il corpo per nascondere il pallone. Eppure Buongiorno e Beukema non hanno sofferto il contato fisico, offrendo una presenza costante in marcatura o nell’anticipo. Del resto, il vantaggio è frutto di una giocata visionaria di Foden, che stimola il norvegese ad aggredire lo spazio dietro la linea difensiva con uno scavetto preciso e morbidissimo. Il gol ha spostato totalmente l’inerzia a favore del City. Ma per analizzare appieno la gara bisogna andare oltre le prestazioni individuali. Come dimenticare, per esempio, il lavoro di Politano, che non si è snaturato nel ripiegare continuamente sottopalla. Al contrario, ci ha messo mentalità e abnegazione, pur se chiaramente limitato dal punto di vista offensivo: pochi palloni giocabili, ma tutti contesi disperatamente al dirimpettaio.

Impossibile giudicare l’attacco

Alla luce di quanto visto ieri, diventa quindi pretestuoso dare un giudizio sull’attacco. Lukaku, cioè il prototipo del centravanti ideale per Conte, era parte integrante dei meccanismi offensivi del Napoli, talvolta cercato direttamente dalla difesa, funzionalissimo nel gioco spalle alla porta. Perciò imprescindibile per risalire il campo e consolidare il possesso, grazie ai suoi movimenti incontro. Uno scenario che poteva risultare assai utile alle esigenze di un gruppo chiamato a resistere in dieci contro undici. In ogni caso, è innegabile che con Hojlund gli azzurri stanno provando a cambiare il modo di attaccare. In tal senso, il danese ha dimostrato di non essere un giocatore autosufficiente, ma deve associarsi con i compagni sulla trequarti. Attivato specialmente da profili creativi, che si muovono alle sue spalle, tipo McTominay o De Bruyne.

Qualcuno già vorrebbe crocifiggerlo. Vero che nella scorsa Premier, sicuramente condizionato dalla gestione terribile di Amorim, ha realizzato la miseria di 4 gol in 32 presenze, dieci in tutto se ci aggiungiamo anche le 15 apparizioni in Europa League.  Eppure, le statistiche nei due campionati precedenti non sono state deficitarie: 10 nel 2023/24; 9 in quello 2022/23, con la maglia dell’Atalanta. Insomma, sarebbe saggio lasciarlo tranquillo.

Il coraggio delle idee

In definitiva, il Napoli può comunque trarre delle sensazioni positive dall’esordio in Champions League. I giocatori hanno affrontato col piglio giusto sia l’inizio partita, alquanto equilibrato, che le difficoltà nate dopo l’espulsione.

Piccola nota a margine: solo un top coach come Conte poteva scegliere di togliere De Bruyne per ridisegnare la squadra. Senza timore di incorrere nella (potenziale) reazione negativa del figliol prodigo, tornato a casa sua e accantonato in corso d’opera per una superiore “ragion di Stato”. Il belga non ha smosso un muscolo, consapevole lui per primo che fosse l’unica mossa tattica da fare in quel preciso momento. A decretare la giustezza di certe scelte combinate, le parole di Guardiola a Sky: “Il Napoli ha avuto la resistenza di difendere bene. Io non riesco a farlo; la mia squadra se rimane in 10 non è capace di fare la prestazione che ha fatto il Napoli. E’ rimasto concentrato, faceva i raddoppi…”.

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