Il Napoli ormai è una realtà fortemente radicata in Serie A, con ambizioni importanti pure in ottica europea. All’interno di un contesto ipercompetitivo com’è quello costruito dal club azzurro negli ultimi anni, vedere dei talenti cresciuti nel settore giovanile sbarcare in Prima Squadra non è così scontato. Più facile, magari, tornare alla “casa madre” dopo qualche proficua esperienza formative maturata in prestito altrove. Emblematico, in tal senso, ciò che sta accadendo a Vergara e Ambrosino, da questa estate in pianta stabile col gruppo di Conte. Se l’attaccante ha avuto la possibilità di dimostrare tutto il suo potenziale esclusivamente in Coppa Italia, diverso il discorso relativo al centrocampista. Capace di approfittare delle rotazioni ridotte in mediana, causa infortuni vari e assortiti, per ritagliarsi un posticino nel minutaggio. Padroneggiando il gioco con qualità tecniche e personalità.
Insomma, dalle parti di Castelvolturno non hanno fretta, consapevoli che i giovani vanno aspettati. Ma efficientare il vivaio, mettendolo a regime in termini di razionalizzazione delle risorse, significa programmare la simbiosi con la Primavera. Ecco che le Final Four di Supercoppa hanno contribuito ad alimentare il sogno e la fantasia dei quattro giovani aggregati per la trasferta in Arabia Saudita. Claudio Pugliese (2008, portiere), Emmanuele De Chiara (2006, centrocampista), Vincenzo Prisco (centrocampista, 2008) e Francisco Baridò (2008, attaccante) sono profili su cui scommettere: il segno che la società partenopea sta riuscendo ad alzare il livello nel processo funzionale poi a scovare e produrre giocatori buoni per sé, piuttosto che in chiave mercato. Utili, cioè, per realizzare plusvalenze. In alternativa, essere inseriti come parziale contropartita tecnica in operazioni di acquisto.
Allora, i quattro si inseriscono tra gli esponenti di spicco di una nuova generazione che fa sperare. Ciascuno ha una storia significativa, che dà un’altra luce al loro viaggio a Ryad.

Baridò novella Joya
Mancino caramellato e movimenti da stiloso avanguardista sulla trequarti. Questo è Baridò, dotato di tecnica sublime e soluzioni barocche, spendibili anche da seconda punta. Caratteristiche ideali per determinare un naturale accostamento con Paulo Dybala, non solo in virtù del soprannome che l’accompagna – la “Joya” – dai tempi della Under15 allenata da Pablito Aimar (altro fantasista di culto ammirato in Europa con le maglie di Valencia e Benfica a cavallo fra gli anni 90’ e il 2000).
Se ne parla alla stregua di un vero crack di mercato, sin da quando arrivò in Italia un paio di anni fa, lasciando il Boca Juniors per firmare con la Vecchia Signora. La sua reputazione va di pari passo con l’opportunità di strapparlo alla Juventus, portandolo all’ombra del Vesuvio per una cifra abbordabilissima se rapportata al suo effettivo valore (si vocifera circa 1 milione di euro), nel momento in cui diventavano evidenti le difficoltà dei bianconeri nel rinnovargli il contratto, in scadenza giugno 2026.
Scalando la piramide

Se Baridò è arrivato attraverso una lungimirante trading, gli altri tre sono entrati nel vivaio azzurro quasi da bambini, scalando la piramide giovanile fino alla Primavera. De Chiara ne è addirittura il capitano: impersona l’eterna dicotomia tra potenza muscolare e ordinato controllo, con cui amministra il pallone apparentemente senza alcuno sforzo, tenendo l’avversario a distanza di sicurezza. Col fisico o avvalendosi di letture assai intelligenti. Guardando in prospettiva, forse coi “grandi” le sue abilità tecnico-tattiche lo rendono più adatto qualora si riciclasse da mezzala, invece di pensarlo a gestire il gioco collettivo da solitario metodista.
Pugliese è uno dei tre portieri della Primavera. Si divide la porta assieme a Lattisi e Ferrante, quest’ultimo spesso convocato da Conte per sopperire alle assenze di Contini o Meret. Finora ha condito le sue prestazioni con alcune ottime parate, coprendo in modo ottimale lo specchio della porta e l’area piccola. Qualità che ne confermano senso del posizionamento, abbinato a buona esplosività nelle gambe. E pensare che viene da un infortunio in Youth League, che ne ha parzialmente condizionato l’ascesa.

Circa un mese fa Prisco era tra le immagini dello storico terzo posto al Mondiale U17 di Doha, strappato dall’Italia ai rigori contro il Brasile. Autentico trascinatore degli Azzurri, lo ringrazia Massimiliano Favo, innamorato di un calcio diretto e verticale, dove la rapidità di pensiero si associa alla capacità di dominare la controparte col pallone, anziché speculare sui suoi errori. Un modello di gioco virtuoso, basato sulla ricerca della superiorità numerica e posizionale, da ottenere attraverso movimenti funzionali a creare poi i presupposti in termini di spazio e tempo da sottrarre all’avversario. Il commissario tecnico, quindi, ha ricevuto da Prisco risposte soddisfacenti sia in fase di costruzione; nonché nella collaborazione assicurata ai compagni nel consolidare il palleggio nella metà campo altrui.
Piedi per terra e lavorare
In definitiva, gli “aggregati” in Supercoppa rappresentano una benefica boccata d’ossigeno per un vivaio troppe volte mortificato da critiche ingiuste o frettolosi pregiudizi. Prematuro, ovviamente, azzardare paragoni affrettati circa il loro futuro. Vedremo come andranno le cose non appena metteranno piede tra i professionisti. Nondimeno, sa da un lato è giusto ancorarli coi piedi per terra, al contempo sembra giusto tenerne a mente i nomi. Oltre a rimarcare i brividi che sicuramente avranno provato nell’istante in cui gli hanno messo la medaglia al collo, oppure alzato al cielo di Riyad il trofeo conquistato contro il Bologna.
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