Se i risultati sono l’unico criterio con il quale viene valutato il lavoro, le promesse puntualmente disattese e gli obiettivi falliti disastrosamente dalla Nazionale dovrebbero bastare per mettere sul banco degli imputati Gabriele Gravina. Al di là delle frasi di circostanza – belle parole e null’altro, che servono esclusivamente a imbonire l’opinione pubblica -, le infinite giustificazioni non bastano più al numero uno della FIGC per sottrarsi alle sue responsabilità. Appare sin troppo evidente che il male principale del movimento calcistico italiano sia proprio il presidente della Federazione. Che ha dimostrato svariate volte di non essere assolutamente all’altezza del ruolo istituzionale per cui è stato scelto. Poi è chiaro, il “Sistema-calcio” ha oggettive carenze strutturali, che necessitano di interventi urgenti, ormai improcrastinabili, funzionali ad affrontare il problema in maniera globale. Servono interventi pluriennali, organizzare un piano strategico, invece di reagire istericamente alle emozioni negative dettate dal momento. Lecito domandarsi allora cosa spetti il Governo a intervenire. In tal senso, magari è legittimo pensare che Andrea Abodi, in qualità di Ministro per lo Sport, preferisca muoversi a fari spenti e non soffiare sul fuoco delle inutili polemiche, alimentando il malcontento. Però la Politica dovrebbe rivendicare il suo ruolo, finora in tema di sport dominato da visioni conservatrici, arrivando magari a commissariare la Federazione. Senza timore di scontrarsi con i tanti lobbisti che da tempo usano il calcio per perorare la causa di una cerchia ristretta. Il silenzio prolungato potrebbe essere interpretato alla stregua di menefreghismo, se non addirittura, di omertosa complicità.
Tornando inevitabilmente al campo, pur non mancandogli le attenuanti, Luciano Spalletti ci ha messo del suo per farsi sollevare dall’incarico, sostanzialmente incapace di gestire i mali comunque endemici dell’Italia attuale, sterile in attacco e nient’affatto solida difensivamente. Al momento, le uniche sicurezze le può garantire solo Donnarumma. Perciò, in due anni sulla panchina degli Azzurri, si contano davvero sulle dita di una mano le partite in cui la squadra schierata dall’Uomo di Certaldo è stata brillante nel gioco, veicolando in tifosi e critica una sensazione di reale entusiasmo. Il resto? Prestazioni anonime e impalpabili. Ingeneroso, nondimeno, buttarlo via, come una scarpa vecchia, a cavallo tra la prima e la seconda partita delle qualificazioni Mondiali. Così da esporre il c.t. alla gogna mediatica dell’esonero arrivato praticamente in diretta, a ridosso della conferenza stampa pre-gara. E poi alla farsa di mandarlo in panchina stasera contro la Moldavia: ennesima anomalia di una Federazione in totale caos operativo. La verità è che Gravina è zavorrato alla sua poltrona, e non intende rinunciare al potere che ne consegue, formidabile campione di interessi particolarissimi. Tuttavia, vive fuori dalla realtà, specialmente quando dichiara, senza alcuna vergogna: “A una Italia senza Mondiale non posso assolutamente pensare…“.
Orbene, partecipare al principale torneo riservato alle squadre nazionali non è un diritto divino, tantomeno un atto dovuto a chi un tempo aveva le stimmate della nobiltà pedatoria. Nella peggiore delle ipotesi, l’italico pallone dovrà prendere atto del ridimensionamento del suo status, oggi lontano anni luce dall’élite europea. Accettare, dunque, non solo di essersi indebolita rispetto alla concorrenza. Ma addirittura di aver perso fette consistenti di competitività, anche nei confronti di nazionali teoricamente di seconda fascia.
In definitiva, sussiste forte l’impressione che l’Italia del calcio si trovi molto più vicina al punto di rottura rispetto alle speranze di grandeur del suo benevolo presidente federale. Eroico nel non mollare l’osso, come l’orchestrina del Titanic, che continuava a suonare imperterrita, nonostante il transatlantico affondasse inesorabilmente.
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