di Michele Vidone
Pier Luigi Bersani, ex ministro ed ex segretario del Pd, afferma in un’intervista che, quando le risorse economiche sono limitate e il meccanismo delle disuguaglianze continua a funzionare a pieno ritmo, è necessario dare un segnale chiaro della volontà di rallentarlo, assumendo il punto di vista di chi si trova in maggiore difficoltà.
Secondo Bersani, nella manovra economica non emerge alcun segnale in tema di uguaglianza fiscale, tenuta del welfare, diritti dei lavoratori e attenzione alle nuove generazioni. Si chiede inoltre se il Paese sia davvero di fronte a una fase di austerità o, come sostiene il ministro Giorgetti, di semplice prudenza, osservando che in tal caso sarebbe quantomeno opportuno impegnarsi in riforme che non comportano costi, intervenendo su fisco, lavoro, questione industriale dell’energia, concorrenza e giustizia.
Bersani aggiunge con ironia che, se fosse stato lui Giorgetti, si sarebbe già dimesso, ma osserva anche che l’uscita di scena del ministro dell’Economia priverebbe il governo dell’unico appiglio rimasto, visto che Giorgetti può almeno rivendicare di aver fatto quadrare i conti. Si chiede invece cosa potrebbero dire altri esponenti dell’esecutivo, come Urso, Salvini o Lollobrigida.
Guardando al futuro europeo, Bersani sottolinea come nel 2026 si porrà il problema di capire se sei o sette leader europei avranno il coraggio di farsi avanti oppure se l’Europa finirà per restare in una condizione di sudditanza. A suo giudizio, Giorgia Meloni difficilmente potrà essere protagonista di un riscatto europeo, dal momento che difende il principio dell’unanimità e non riesce nemmeno a prendere posizione nei confronti di Salvini, che si è schierato con Trump sulla vicenda del visto negato a Breton.
Sul fronte del centrosinistra, Bersani ritiene che tra il popolo dell’area progressista il lavoro sia già avanti, perché esiste una vasta mescolanza di persone che non si riconoscono nell’attuale governo. Le difficoltà, secondo lui, emergono quando si sale ai livelli più alti, dove iniziano incomprensioni e tensioni. Prima di discutere dei leader, sostiene, è necessario costruire un esercito, stringendo un patto politico e lavorando a un programma condiviso.
Quanto ai tempi, Bersani osserva che prima si procede e meglio è, mettendo però in guardia dall’idea di arrivare a una sintesi solo alla fine del percorso, perché potrebbe rivelarsi pericoloso. Riguardo alle primarie, le giudica utili solo se inserite all’interno di un progetto unificante; in caso contrario, avverte che potrebbero non essere una buona idea. Conclude infine affermando di preferire un coro armonico a tante voci soliste.
