Che il Bologna avrebbe provato a cucinare il Napoli con la solita ricetta, mettendo la finale di Supercoppa sul piano dell’intensità, imponendo il proprio ritmo attraverso la pressione alta, al punto da recuperare subito il pallone e ripartire, si era capito già al fischio d’inizio. La squadra rossoblù, infatti, scalava puntualmente sugli avversari, affidandosi alla capacità di vincere i duelli individuali per sporcare le potenziali trasmissioni. Una montagna da scalare, che poteva mettere in dubbio la lucidità degli azzurri nell’insistere col palleggio.
I riferimenti erano fissi: Holm a destra e Miranda a sinistra si occupano di Spinazzola e Politano. Mentre il consueto incastro centrale associa Lobotka–McTominay a Ferguson–Pobega. In attacco, Italiano punta sul 4-2-3-1: la presenza di Odgaard alle spalle di Castro sembra orientata a innescare le iniziative individuali di Orsolini e Cambiaghi, nonché le transizioni corte dopo l’eventuale recupero. La contromossa di Conte? Le ali affidate alla cura dei braccetti (Juan Jesus e Di Lorenzo), Rrahmani sulla punta argentina.
Il Napoli sapeva come aggirare la strategia dei rivali; svelto nel pensiero e nell’esecuzione, trova con pazienza uomini smarcati. In questo modo inclinava comunque il campo verso Ravaglia. Anche difensivamente, ciascuno sa esattamente quali sono le mansioni da svolgere. Per esempio, la responsabilità di assorbire Odgaard ricade su Elmas, celere nello scivolare internamente e occupare la posizione di “secondo violino” del centrocampo, accanto a McT.
Contrapporre possesso a pressing

A fare saltare il banco delle feroci marcature individuali, l’incredibile dinamismo di Politano e Spinazzola. Alternando scambi sul breve a trasmissioni più lunghe, i due costituivano il principale fattore di fluidità, nella tipica contrapposizione tra pressing rossoblù e costruzione azzurra. Il tecnico salentino li schiera nel 3-4-3, ribadendo l’importanza di dare un’impronta assai duttile alla formazione. Paradossalmente, il sistema inaugurato alla fine di novembre con l’Atalanta, invece di mortificare il gioco in catena, con l’ossessiva ricerca del “terzo uomo”, soluzione tipica del 4-3-3, consente all’allenatore di sovraccaricare le fasce, creando addirittura un quadrilatero in fase di possesso.
A destra, Di Lorenzo, Lobotka, Politano e Neres ruotano continuamente, senza perdere mai il controllo della palla. Sul lato opposto, sono Juan Jesus, Spinazzola e Elmas (ovviamente, con la collaborazione del pivote slovacco) a scambiarsi la posizione con naturalezza, riuscendo a resistere alla pressione felsinea. Senza nemmeno dare l’impressione di fare troppa difficoltà, nel mandare in tilt gli accoppiamenti a uomo predisposti da Italiano. Certo, ogni evoluzione comporta delle rinunce: finora, uno dei crucci maggiori di Conte era stato sacrificare Politano sull’altare degli equilibri, nel Napoli che cambiava forma. In questa Supercoppa, la sua presenza è tornata ad essere fondamentale.
Perciò, la prima giocata per frustare l’aggressività del Bologna, risalendo il campo con una frazione di secondo in anticipo rispetto ai tentativi di intercetto, sono sempre attivati da un passaggio taglia-linee del braccetto verso il metodista. Chiaro che la situazione diventa interessante se poi si snoda grazie a una verticalizzazione, funzionale a stimolare la ricezione alle spalle della mediana bolognese. A fare la differenza concorre l’energia di Neres: vero offensive player, buono per muoversi da seconda punta “pura sulla trequarti, pronto a lavorare di sponda, chiamando in causa i tagli centripeti nel mezzo spazio dei compagni che arrivano a rimorchio.
Hojlund dominante

Il Napoli mantiene vivo lo spirito delle rotazioni dinamiche, che gli consente per lunghi tratti di sviscerare calcio brillante. Se l’azione si sviluppa a destra, la sovrapposizione interna di Politano pare decisiva per togliere certezze alla struttura difensiva dei rossoblù. Perché Heggem non può intervenire, dovendo occuparsi di Hojlund. Nel frattempo Lucumì evita di uscire forte in closeout, obbligato a marcare Neres, apertosi in ampiezza. Ergo, nessuno assorbe l’inserimento, coprendo quella zona specifica dietro Ferguson. Qualora i detentori della Coppa Italia facevano grande densità in zona palla, allora il Napoli ribaltava il fronte. Continuando a gestire sulla sinistra seguendo identiche coordinate. Per cui, Elmas si allarga verso il fallo laterale, Spinazzola stringe nel corridoio intermedio, sfilandosi dal controllo di Pobega.
Possibile che basti costruire così bene l’azione per mettere in condizione i Campioni d’Italia di essere pericolosi? La fotografia di tutto ciò che funziona nella metà campo altrui sta pure nell’abilità di Hojlund nello sfruttare direttamente il vantaggio generato dalle “finte ali”. L’ingresso nel vivo della manovra di Neres, che viene incontro, defilandosi, porta via l’uomo, aprendo al contempo uno spazio verso il danese. Favorendolo nel connettersi col resto della squadra in virtù di una traccia pulita di passaggio. Altrimenti, nelle occasioni in cui non poteva eludere la canonica marcatura di Heggem, non trovando lo spiraglio per imbucare, il Napoli ne ha approfittava per consegnargli la sfera, e occupare con tanti uomini l’ultimo terzo di campo. Opzione che ha senso, perché lavorando spalle alla porta nasconde la palla come pochi, appoggiandosi al difensore, e dopo ruota, facendo perno col bacino, così da mantenere sempre il corpo a protezione. Anche se il core business resta un devastante movimento a mezzaluna; il ricciolo è quello che sa fare meglio, strappando poi in profondità.
Difendersi senza soffrire

Messo a segno il raddoppio all’inizio della ripresa, a quel punto in fase di non possesso il Napoli sceglie consapevolmente di abbassarsi, lasciando il pallone ai felsinei. Insomma, ha cercato di ridurre ai minimi termini i rischi, costringendo il Bologna a sbattere contro un blocco medio. Un atteggiamento faticoso, a livello fisico e mentale, che avrebbe potuto alimentare gli spettri e rendere le gambe di gelatina, se l’indole degli uomini di Conte non fosse proprio quella di non farsi prendere da una crisi di nervi. Qualcosa a metà tra il coraggio e l’arroganza.
Il baricentro abbassato appare logico da un punto di vista difensivo, ma (teoricamente) rappresenta un problema in termini propositivi, poiché significa puntare le fiches quasi esclusivamente sui movimenti di Hojlund. Peccato per gli avversari che il numero 19 sia uno scoglio granitico cui aggrapparsi con l’idea di capitalizzare la sua capacità di destreggiarsi nel contesto del lancio lungo. Che presuppone di combattere da solo contro l’intera retroguardia di Italiano. Quindi, lavorando in inferiorità numerica, e dovendo amministrare pure palloni “sporchi”. Nessuna aggravante: il resto della squadra non resta troppo lontana per accorciare in tempo, evita di allungarsi, mantenendo le distanze, e dopo raccogliere ordinatamente le seconde palle.
In definitiva, poteva finire davvero in goleada. Del resto, ad eccezione della leggerezza che attiva Neres per il 2-0, Ravaglia è stato il migliore in campo dei suoi. E nel finale gli azzurri sciamavano all’interno della trequarti bolognese, tra evidente dominanza tecnica e qualche egoismo di troppo. Non importa, la serata di Riyadh certifica che qualora il Napoli saprà ripetersi (in Italia ed Europa) seguendo questo copione ci saranno molte altre partite a senso unico.
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