L’inserimento di Romelu Lukaku al centro dell’attacco in luogo di Victor Osimhen ha rappresentato il momento in cui s’è perfezionata la vera transizione tra il Napoli del passato e quello di Antonio Conte. La scorsa estate l’insistenza con cui l’allenatore salentino ha indirizzato le scelte della società sul sostituto del nigeriano sembravano una mossa mirata a mettersi nello spogliatoio un suo pupillo. E invece Big Rom ha cambiato la maniera di interpretare il ruolo, impattando inevitabilmente sui destini della squadra partenopea. In realtà, l’Uomo del Salento, imperniando il suo calcio attorno ai movimenti del numero 11, è riuscito a gestire il ritmo, senza trascurare ovviamente la possibilità di esplorare la profondità grazie al gioco diretto e verticale. All’interno di uno scenario tattico in cui le rotazioni posizionali e gli interscambi in catena tra esterno, mezzala e terzino sono stati fondamentali per mandare difensivamente in cortocircuito gli avversari.
Solo in apparenza semplici, gli “scarichi” di Lukaku, imprescindibile per ripulire il possesso in uscita dal basso, specialmente in partite dove il Napoli è riuscito a superare la prima pressione con giocate di questo tipo. Per dira tutta, il concetto era di appoggiarsi ciecamente su di lui, chiave di volta per scompaginare poi la strategia difensiva predisposta dalle rivali. A confermare la bontà dell’idea, lo sviluppo successivo della manovra, che dava ampiezza con aperture sul lato forte, producendo tantissimi isolamenti. E conseguente inserimento della mezzala di parte, lesta a tagliare alle spalle, coprendo proprio quella porzione di campo svuotata dal centravanti.
Utile come un gregario
Dal canto suo, l’ex Inter e Roma ha dimostrato che, nonostante l’età avanza e talvolta ne rallenti l’esplosività negli spostamenti, la dominanza fisica continua a caratterizzarlo. Perciò Conte ha iniziato a modulare diversamente le varie altezze di campo dove stimolarne le ricezioni, usandolo in preziose sponde spalle alla porta. In tal senso, sopportare di abbassare il raggio di azione, accorciando continuamente verso i compagni attestati a centrocampo, ha agevolato un mood improntato su baricentro medio/basso e controllo degli spazi. Un lavoro oscuro, che nessun altro top player avrebbe accettato o sopportato tanto facilmente. Oggi viene da pensare che utilizzandolo così, invece di sfiorire, il tecnico gli abbia allungato la carriera, consentendogli di rimanere un attaccante sì muscolare, ma con una indole decisamente più cerebrale. Un profilo offensivo a caccia dell’imbucata oppure l’assist, piuttosto che limitarsi a saturare l’area di rigore altrui.
In tal modo, là davanti il Napoli ha evidenziato di saper sostenere sia il tridente, sfruttando le situazioni in cui riusciva ad allargare le distanze in ampiezza agli avversari, lavorando con gli esterni. Che riadattarsi, nella seconda parte della stagione, al sistema con i due attaccanti. Dove a sovraccaricare le zone centrali contribuiva il supporto al belga di Raspadori, libero di agire da seconda punta pura.
Il graffio sul Cagliari
In ogni caso, nell’economia globale della squadra, capace di segnare 59 reti complessive, con 14 gol e 10 assist, Lukaku ha partecipato attivamente (quasi) alla metà della produzione offensiva dei Campioni d’Italia. Mettendo la ciliegina sulla torta contro il Cagliari con uno strappo tipico dei tiempe belle ‘e ‘na vota.
Prendiamo il gol del 2-0: sul pressing uomo su uomo dei sardi Lukaku funge da riferimento avanzato, “fissando” la profondità nel duello con Mina. Con i rossoblù aggressivi nella trequarti partenopea, la palla arriva a Politano, che gioca con chi vede, ovvero, appoggiandosi all’indietro su Rrahmani, schiacciato sulla linea di fondo, vicino alla bandierina del corner. A questo punto il kosovaro lancia lungo, per alleggerire la pressione e far rifiatare i compagni. Romelu viene incontro, seguito come un’ombra dall’avversario diretto. Ne attira l’attenzione, tiene fisicamente il centrale colombiano, quindi si stacca, creando separazione e puntando la porta. Aumenta la falcata, il corpo costantemente a protezione della sfera. Adopo prova ad accorciare, ma se parte in progressione l’11 difficilmente si piglia. Infatti non rallenta, sostenendone il ritorno. Con una sterzata interna ruba il tempo pure al disperato ritorno di Mina. Infine calcia, lasciando Sherri a guardare desolatamente il pallone che entra in rete.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LEGGI ANCHE:
Nessuno ha influenzato lo scudetto del Napoli più di McTominay, che si è preso pure l’MVP