foto Antimo Piccirillo

Il concetto espresso da Antonio Conte nella pancia del “Tardini”, pochi minuti dopo il fischio finale del match col Parma, è sin troppo chiaro: “Abbiamo l’osso in bocca e non dobbiamo mollarlo…”. Al Napoli manca veramente poco per raggiungere l’Obiettivo (doverosamente con la maiuscola); perciò è inspiegabile l’atteggiamento di una parte della tifoseria, particolarmente critica nei confronti del gioco riflessivo degli azzurri. Una filosofia funzionale ad amministrare alcuni momenti della gara, perfetta per convertire la gestione del possesso in dominio cerebrale, prim’ancora che tattico.

Naturalmente, c’è un contrappasso da pagare: a Lukaku spesso viene chiesto un lavoro nelle sponde sfiancante, che ne esalta le doti da rifinitore, finendo però per limitarne la pericolosità negli ultimi sedici metri. Una strategia che ha reso l’attacco della squadra partenopea in certe occasioni decisamente fragile. Costringendo l’allenatore a inventarsi delle soluzioni alternative. La mossa di spostare McTominay dal ruolo di mezzala da inserimento, a quello di seconda punta atipica, fotografa, per esempio, l’intenzione di sviluppare un calcio versatile e posizionale, sicuramente meno rischioso in fase difensiva. Eppure, orientato a piazzare molti uomini tra le linee, grazie a rotazioni in grado di rendere la manovra assai fluida. Così da realizzare con facilità quegli ambiziosi interscambi che coinvolgono lo scozzese, nonché Anguissa, Politano e Di Lorenzo. E tanto hanno fatto la differenza nell’economia del campionato.

Gestire testa e cuore

Un altro aspetto che non va assolutamente sottovalutato? Il solido rapporto costruito con l’ambiente ed i giocatori. L’allenatore ha avuto la capacità di conquistare immediatamente la testa della gente. Guadagnandosi la loro fiducia, convincendola della bontà dei suoi princìpi calcistici. Veicolando nei napoletani l’immagine di vincente per antonomasia. Una feroce determinazione che gli ha consentito di superare indenne le potenziali crisi. Tipo la cessione di Kvaratskhelia a gennaio e l’immobilismo della società sul mercato di “riparazione” in entrata.

La gestione umana delle risorse diventa il fiore all’occhiello di uno spogliatoio che solo pochi mesi fa faceva acqua da tutte le parti. Conte ha dimostrato di aver costruito un gruppo granitico, mentalmente unito, al di là del gioco espresso. Veicolando un messaggio preciso: è solo nel collettivo che emergono le qualità dei singoli. Mai viceversa. Per cui, parlando del Napoli primo in classifica per settimane, non va trascurata l’abilità di avere sì una idea di gioco ben definita. L’allenatore, in altre parole, non si è fatto scrupoli a cambiare quando fosse necessario, plasmando la formazione ogni volta con accorgimenti diversi, che ne integravano la fluidità. Nondimeno, adattandola alle esigenze del momento.

Gli infortuni di Neres allora hanno spalancato le porte dell’undici titolare a Raspadori. Con questo aggiustamento gli azzurri hanno avuto maggiore supporto in prima linea, agevolati ovviamente dall’uso di una seconda punta pura, brava a ripiegare per cucire il gioco. Che oltre ad allinearsi a Big Rom, sdogana McT da compiti iperoffensivi. Al contempo, l’ex Manchester United può svariare nell’half space, dietro i centrocampisti rivali, libero di allargarsi o andare in verticale.

Cambiare pelle per vincere

Innegabile, tuttavia, che a fare davvero la differenza abbia contribuito il blocco medio, che permette di palleggiare con calma (preservando anche le energie), in modo ragionato, senza esasperare l’intensità. Convertendo una potenziale diminutio nella principale forza propulsiva del nuovo Napoli targato Conte. Insomma, dovrebbe passare in secondo piano se il pressing è meno asfissiante ed ossessivo, poiché a legittimare il cambiamento potrebbe sopraggiungere la vittoria dello scudetto. In uno scenario generale in cui la capolista rarissimamente ha dato l’impressione di essere inferiore alla concorrenza, soprattutto dal punto di vista qualitativo.

Insomma, talvolta cambiare fa bene. Magari non sai cosa aspettarti, ma se l’approcci con il giusto atteggiamento, allora tutto avrà un sapore diverso. In questo contesto, lo sbarco del tecnico salentino all’ombra del Vesuvio – non dimentichiamolo mai, in un momento delicatissimo della gestione De Laurentiis – ha rappresentato una evidente inversione se paragonato all’Estetica Trascendentale di Sarri. Una indole “giochista”, quello del Comandante, che ha trovato poi la sua forma più evoluta con lo scudetto di Spalletti. Il cambiamento sarà stato pure radicale rispetto al recente passato; quindi un pizzico traumatico. Ecco, nulla certifica meglio lo stato attuale delle cose, se non una frase rilasciata nel post partita di Lecce, qualche settimana fa, che letta a posteriori, sottolinea l’importanza del percorso svolto finora da questo gruppo di lavoro: “Chi vince scrive la storia, gli al massimo vanno a leggerla!”. Altro che metafora: questo è il manifesto dell’Uomo del Salento. Che piaccia o meno…

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