Per il Napoli, sbarcato in Emilia con un misero punticino di vantaggio sull’Inter, ritornata prepotentemente in scia, quello che rimaneva nella storia di questo campionato a due giornate dalla fine, era l’obbligo, se davvero voleva vincere lo scudetto, di fare bottino pieno innanzitutto a Parma, una squadra risucchiata inaspettatamente nella lotta per non retrocedere a causa dalla sconfitta con l’Empoli.
Alla fine, nonostante fosse questione di vita o morte, calcisticamente parlando, a spostare l’equilibrio del match in favore dei partenopei (sembrerà retorica) ha pesato la forza di volontà. Da non confondere col potere della disperazione. In effetti, è stata l’ambizione di un gruppo ormai identificatosi, sia mentalmente che tatticamente, con il suo allenatore, a dissipare le nuvole più nere allungatesi sull’orizzonte napoletano dopo il pareggio contro il Genoa. Eccolo il grande merito di Antonio Conte: le aspettative quasi messianiche riposte dall’ambiente nell’Uomo del Salento hanno trovato la perfetta realizzazione nell’efficacia del suo gioco. Da molti criticato, perché magari gli azzurri non sono dominanti lungo i 90’ minuti. Eppure la coerenza della strategia disegnata dal “mister” salentino non turba il sonno della squadra.
Primo tempo bloccato
I dubbi iniziali si sono trasformati presto in una prova di nervi al “Tardini”, tra la mismatch in termini di peso e chili tra Olivera e Pellegrino, da un alto. Sul versante opposto, Politano aperto alla massima ampiezza è l’idea per isolarlo contro Balogh, che ha indubbiamente un passo diverso. E soffre l’uno contro uno. Non ci si lasci ingannare, il gioco diretto del Parma, a saltare il centrocampo, attivando immediatamente la coppia di corazzieri in attacco, schiaccia il Napoli all’indietro. E stimola pericolose transizioni, finendo per rimbalzare sulla feroce determinazione e la cattiveria agonistica di Rrahmani su Bonny.
Infatti, costretto a prendersi dei rischi, il Napoli, pur consapevole che non sarebbe stata una gara come le altre, si affida al tipico calcio fluido e posizionale, sviluppando a tratti accelerazioni fuori dal comune, che poi favoriscono gli inserimenti di McTominay e Anguissa. A loro va riconosciuto di essere imprescindibili nel tentativo di innalzare il livello di produttività nella trequarti altrui. Anche se diventa arduo leggere la disposizione avversaria, attestatasi stretta e corta, a creare grande densità, trovando il giusto timing per incunearsi tra le maglie gialloblù in conduzione. Il fulcro del centrocampo, al quale viene affidato il compito di dirigere il traffico davanti alla difesa, resta Gilmour, ordinata controfigura di Lobotka. Lo scozzese, allora completa la mediana. Perché non si limita a scandire i tempi, ma copre le spalle ad una delle coppie di mezzali più influenti della Serie A, permettendo che si associno con la strapotente fisicità di Lukaku.
In uno scenario del genere non bisogna trascurare l’importanza di Giacomo Raspadori, che in quest’ultima parte di campionato si sta ritagliando il ruolo di uomo della provvidenza. Mancano i suoi tagli in area dalla seconda linea, ideali per scardinare una difesa chiusa; perciò risolvere l’enigma diventa impossibile. Una buona notizia, al contempo, le letture di Jack, quando accorcia verso Gilmour, muovendosi in funzione di raccordo tra centrocampo e attacco. Ciò sposta l’attenzione da Lukaku. Specialmente le volte in cui il centravanti belga decide di piantare il corpo tra un altrimenti perfetto Leoni in marcatura e la palla, non c’è nessuno che possa contenerlo. Coprendola, diventa praticamente inamovibile. Pure se si pregiudica la possibilità di aggredire la profondità. Un contesto dove l’eccessiva distanza tra l’ex Sassuolo e Big Rom contribuisce a sminuire la capacità di dialogare nello stretto. La logica conseguenza di tutto questo è una partita bloccata, dove gli unici acuti sono il volo plastico di Meret a stornare la botta dalla distanza scagliata da Sohm. E sul ribaltamento, il palo di Anguissa.
Ripresa da brividi
Nel momento in cui la serata è diventata scomoda, con i Ducali che pareva dovessero ripetere il medesimo copione della scorsa settimana col Genoa (Meret si esalta ancora su Sohm all’alba della ripresa), il Napoli non si è fatto assalire dalla paranoia. Anzi, ha riportato i padroni di casa alla realtà, mettendo la contesa sul binario che preferisce maggiormente. Alzando decisamente l’intensità della proposta. Macinando nuovamente azioni offensive: Raspadori semina mezza difesa e chiama all’intervento salvifico Suzuki; Politano che cambia direzione, sterza lasciando sul posto uno stralunato Valeri e pizzica la traversa. Per non farsi mancare niente, arriva assieme l’accoppia tra parata straordinaria del portiere nipponico e incrocio, su sberla di McT da punizione.
Nel frattempo, i minuti passano inesorabili. Col Parma che abbassa il baricentro, prestando la massima attenzione al controllo degli spazi, rinunciando a giocare e affidandosi solamente al gioco diretto. Moltiplicando l’attenzione per non compromettere la stabilità sottopalla, rischiando poco o nulla. La classica fase della partita in cui una squadra tende a spegnere il fuoco che alimenta i rivali. Là Conte ha commesso l’errore di metterla sul piano fisico. Forse un po’ ingenuamente pensava di riuscire a spostare quel muro eretto a difesa degli ultimi sedici metri con i cambi. Quando si è iniziato a giocare con il cronometro, il Napoli non è uscito emotivamente dalla gara, evitando che il continuo spezzettamento del gioco favorisse errori gratuiti o di concentrazione.
Non è bastato: i tifosi napoletani hanno dovuto rivivere il loro incubo peggiore. Del resto, avevano già pagato in passato l’errore gratuito dei loro beniamini, incapaci di mettere in ghiaccio i tre punti. Ergo, nei minuti finali, la squadra di Conte – memore delle notizie che giungevano da San Siro – ha continuato ad attaccare, in modo disordinato. Un occhio al campo e le orecchie alla radiolina in panchina. Con la farsa del rigore/non rigore a peggiorare la tachicardia. Adesso il pareggio della Lazio a Milano assicura al Napoli l’ultimo match-point contro il Cagliari: una situazione veramente paradossale da raccontare se si pensa che lo scorso anno più o meno lo stesso gruppo flirtava al massimo con una problematica qualificazione alla Conference League. Siamo davanti a un miracolo oppure a un suicidio? Lo sapremo la prossima settimana…
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