Nelle grandi storie di resurrezione come quella del Napoli c’è sempre un protagonista che salta agli occhi. La rinascita dei Campioni d’Italia passa dall’acume di Antonio Conte, che anche nei momenti peggiori aveva in serbo una strategia per tirare fuori dalle secche la sua squadra. Ricostruendola innanzitutto emotivamente, con pazienza, e un’idea di gioco volutamente qualitativa. Puntando sull’organizzazione tattica, grazie ad un atteggiamento maggiormente accorto e disciplinato rispetto alla serataccia di Eindhoven. Una mazziata come quella in Champions avrebbe tagliato le gambe a qualsiasi allenatore meno strutturato mentalmente, mentre non ha scalfito l’Uomo del Salento. Che invece ha fatto leva sulla coerenza dei suoi principi: linee compatte e profondità. Cose semplici ed al contempo letali, sorta di garanzia per gli azzurri. Il prodotto di una consapevolezza quasi filosofica: i risultati giungono solo quando c’è equilibrio.
Vecchi e nuovi movimenti

Dunque, un po’ per necessità, molto per scelta, i partenopei si attestano su un blocco medio, impostando la gara su transizioni e ricerca immediata della verticalità. Così da opporre all’Inter larghe fasi di solida difesa posizionale. Ma ritrovando i proverbiali strappi in campo aperto delle mezzali. Fino a tramutarsi all’occorrenza in mortiferi terminali d’attacco. Si vede che al cospetto di Anguissa e McTominay che arrivano a rimorchio, gli uomini di Chivu fanno fatica a disinnescarne connessioni e inserimenti.
In tale scenario, schierato a sorpresa in luogo di Lucca, palesemente involuto ultimamente, un ruolo determinate l’ha ricoperto Neres, che ha sfoderato una prestazione maiuscola. Con il suo dinamismo, il brasiliano, nell’insolito slot di “falso nueve”, non ha dato nessun riferimento alla retroguardia nerazzurra, svuotando continuamente il cono di luce centrale, venendo incontro e defilandosi nei corridoi intermedi. A quel punto, la giocata codificata dal Napoli stimolava l’imbucata per il camerunese oppure lo scozzese, lesti ad aggredire lo spazio creato artificiosamente proprio dallo smarcamento di Neres.

Solitamente era Acerbi ad uscire in closeout, assorbendone i movimenti a mezzaluna. Ma libero di spostarsi sull’intero fronte offensivo, il numero 7 costringeva a seguirlo, generando forti incomprensioni con i braccetti difensivi (Akanji, o Bastoni), smarriti e spesso in ritardo, sostanzialmente incapaci di leggerne celermente le intenzioni. Ovvero, se le sue corse avessero orientato il flusso del possesso in ampiezza anziché nello spazio profondo. A destrutturare l’Inter sottopalla forse ha contribuito oltremisura l’infortunio di Mkhitaryan: l’armeno, assieme a Barella, riusciva a scalare con il giusto timing, limitando efficacemente i tagli di Anguissa e McT. Al contrario, Zielinski non si è speso più di tanto nei ripiegamenti. Del resto, all’ombra del Vesuvio lo conoscono bene: il polacco si lascia apprezzare per le sue doti in costruzione e rifinitura. Ma interpreta in maniera scolastica raddoppi e contrasti. Morale della favola, senza una mediana in grado di sporcare le tracce di passaggio al Napoli, impedire ai Campioni d’Italia di dominare fisicamente il match, era praticamente impossibile.
Ritorno (tattico) al passato
Allora, la percezione che per la squadra di Conte vincere contro l’Inter possa avere un significato importante nell’economia del campionato prescinde dall’assenza di De Bruyne: gli azzurri si sono imposti in virtù di una precisa identità, nonostante l’uscita del belga renda indisponibile per un lungo periodo l’unica possibile fonte creativa sulla trequarti, funzionale a legare la zona nevralgica con la prima linea. Sgomberiamo subito il campo da qualsiasi equivoco: un giocatore con i piedi educati e dalle letture visionarie del calibro dell’ex Manchester City non determina mai problemi strutturali, bensì alternative ai sistemi tradizionali.

Nondimeno, la sensazione è quella che il Napoli, accantonando temporaneamente il 4-1-4-1 a favore di una fisionomia già nota, cioè un classico 4-3-3, riesca a mantenere costante le distanze tra i reparti. Facile quindi immaginare che un maggior bilanciamento in entrambe le fasi abbia avuto un grande impatto sulle sorti del piano-gara predisposto dal tecnico salentino. Ecco, talvolta il calcio sa essere davvero beffardo: i partenopei erano precipitati alle soglie dell’inferno solamente pochi giorni prima della sfida coi nerazzurri. Se avessero assecondato le critiche più oltranziste, magari avrebbero accettato supinamente il ruolo di vittima sacrificale. Invece hanno ascoltato la voce la ragione, affidandosi a punti di riferimenti noti, tipo i movimenti codificati delle mezzali. Stasera il Lecce farà da controprova alle ritrovate certezze, tattiche ed emotive.
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