di Fabiana Iacozzilli, regista

Il Grande vuoto indaga l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto, affidando alla tragedia forse più cupa del teatro shakespeariano Re Lear, il compito di trasformare il dolore attraverso il gioco teatrale. Questo lento dissolversi è amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre, una ex attrice, colpita da una malattia neurodegenerativa alla quale rimane solo il ricordo del suo cavallo di battaglia, un monologo tratto da Re Lear. Allo svuotarsi del cervello della madre fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa mentre questa si popola di oggetti, di ricordi che aumentano pesano e riempiono tutte le stanze.

Il lavoro trova risonanze e spunti in “Una donna” di Annie Ernaux, nel romanzo “Fratelli” di Carmelo Samonà e in “I curacari” di Marco Annicchiarico ed è il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore.
Il Grande vuoto contamina la narrazione teatrale con il video in presa diretta per raccontare che le fotocamere di videosorveglianza e le loro immagini con visione notturna, permettono a un figlio di continuare a vivere la propria vita ed entrare senza essere visto in quella del proprio genitore. Guardare la propria madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie pezzi di carta e mutande sporche per poi rimetterli dentro.
Tante le domande che ci hanno spinti a sprofondare in questa materia artistica, ad addentrarci in questa ricerca su cosa rimane di noi e se resta qualcosa di quello che siamo stati mentre ci approssimiamo alla fine, ma una su tutte è forse la più incandescente bella e giusta per il lavoro ed è quella letta in un fumetto della autrice Giulia Scotti: “il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?”

 

 

 

Il Grande Vuoto
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli

drammaturgia Linda Dalisi, Fabiana Iacozzilli
dramaturg Linda Dalisi

regia Fabiana Iacozzilli

con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa per la prima volta in scena

progettazione scene Paola Villani
luci Raffaella Vitiello
musiche originali Tommy Grieco
suono Hubert Westkemper
costumi Anna Coluccia
video Lorenzo Letizia
aiuto regia Francesco Meloni
scenotecnica Mauro Rea, Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate, Akira Callea Scalise
direzione tecnica Francesca Zerilli
assistenti Virginia Cimmino, Francesco Savino, Veronica Bassani, Enrico Vita
collaborazione artistica Marta Meneghetti, Cesare Santiago Del Beato
foto di scena Laila Pozzo
ufficio stampa Antonella Mucciaccio 

produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale, La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna
con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna Teatri, Carrozzerie n.o.t, Fivizzano 27, Residenza della Bassa Sabina, Teatro Biblioteca Quarticciolo

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