Il Consiglio dei Ministri ha deciso di impugnare la legge della Regione Toscana sul fine vita, approvata a metà marzo e prima in Italia a regolamentare in modo organico il suicidio medicalmente assistito. Una decisione che ha immediatamente scatenato un acceso dibattito politico e istituzionale.

Durissima la reazione del presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, che ha definito la scelta del Governo “paradossale”: “Invece di lavorare a una legge nazionale attesa da anni, ostacola chi cerca di attuare quanto indicato dalla Corte Costituzionale. Difenderemo con determinazione la nostra legge, certi di aver agito nel rispetto della legalità e della Costituzione”. Giani ha ribadito che la norma regionale è stata scritta in attuazione della sentenza n. 242/2019 della Consulta, colmando un vuoto legislativo nazionale.

Sulla stessa linea anche Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale toscano, che ha parlato di una “decisione assurda” da parte del Governo: “Un’offesa ai malati e un attacco a una Regione che sta riformando con serietà e nel rispetto della Costituzione”.

La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha accusato l’esecutivo di “ipocrisia e cinismo”: “Impugna la legge toscana, ma nel frattempo blocca quella nazionale in Parlamento. Non si può continuare a voltare le spalle a chi soffre”. Stessi toni da Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, che ha definito la destra “regressiva e ipocrita”: “Il ddl Bazoli è fermo al Senato, e intanto si colpisce una Regione che prova a colmare quel vuoto”.

Dal Movimento 5 Stelle, critiche unanimi. I parlamentari delle Commissioni Affari Sociali parlano di un “atto gravissimo” e di “uno schiaffo a chi soffre”. Mariolina Castellone, vicepresidente del Senato, accusa il Governo di propaganda e invoca una legge nazionale urgente. Alessandro Zan (Pd) rincara: “Per questo Governo cancellare i diritti è la priorità. Ideologia che ignora il dolore umano”.

Dura anche la reazione di Angelo Bonelli (Avs): “Atto di ferocia ideologica. Il Governo ignora deliberatamente le sentenze della Consulta per non legiferare”. Per Peppe De Cristofaro (Avs) “la destra è disumana”, mentre Carlo Calenda (Azione) chiede al Governo di concentrarsi su una legge di “umanità e decenza”.

Forte la critica anche di Mariastella Gelmini (Noi Moderati): “Giusta la scelta di bloccare una deriva. Serve una normativa nazionale, no a una legislazione Arlecchino”. La stessa linea viene sostenuta da Forza Italia, con la deputata Deborah Bergamini e il capogruppo toscano Marco Stella che ribadiscono l’illegittimità della norma regionale: “La competenza è del Parlamento, non delle Regioni”.

La contrapposizione è netta: da un lato chi accusa l’esecutivo di negare diritti fondamentali e di colpire chi si fa carico del vuoto legislativo lasciato dallo Stato; dall’altro, chi difende la centralità del Parlamento su una materia tanto delicata, mettendo in guardia dalle iniziative locali “ideologiche” e “incompetenti”.

Mentre il conflitto istituzionale si intensifica, resta aperta la questione centrale: l’assenza, a oltre quattro anni dalla storica sentenza della Corte Costituzionale, di una legge nazionale sul fine vita. Un vuoto normativo che continua a dividere l’Italia.

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