E così, Luciano Spalletti ha lasciato la panchina dell’Italia, con l’ennesima prestazione scialba e priva di mordente al cospetto di una Moldavia organizzata e nient’affatto arrendevole. Vero è che tanti, tra i convocati, sono giunti al doppio appuntamento delle qualificazioni Mondiali alla canna del gas, con le energie fisiche e nervose ridotte davvero al lumicino. Fuorviante, tuttavia, giustificare l’umiliante debacle contro la Norvegia attribuendola solo alla stanchezza, oppure alle assenze o agli infortuni.
A spaventare, però, non è il solito trend negativo espresso dal gioco della Nazionale. Quello magari può ancora essere tollerato, considerando la miriade di problemi strutturali endemici del “Sistema-calcio”, che una Federazione affetta da miopia selettiva nasconde da tempo, manco spazzare la polvere sotto lo zerbino servisse poi a qualcosa. A fare ancora più male è l’atteggiamento di una larga fetta degli Azzurri, velatamente strafottenti circa le sorti del c.t., se non addirittura contenti per l’esonero. Del resto, le classiche “voci di dentro” già parlano di una congiura ordita a suo danno da alcuni giocatori, che pare (il condizionale è d’obbligo…) abbiano fatto pressioni su Gravina affinché sollevasse dall’incarico l’Uomo di Certaldo.
Insomma, questa squadra è lo specchio fedele del momento tragicomico che attraversa l’italico pallone, tra “giocatorini” che si atteggiano a fenomeni, salvo sciogliersi come un gelato all’equatore alle prime difficoltà. E una pletora di dirigenti federali, che a vario titolo occupano le stanze del Potere, senza averne alcuna capacità o merito. Tantomeno, la voglia di sbattersi per tentare di apportare qualche riforma, ormai improcrastinabile. Insomma, più lobbisti, interessati a perorare la causa di una ristretta cerchia, piuttosto di tutelare la res publicae. Ovvero, il ruolo istituzionale per cui sono profumatamente remunerati.
Il vero nodo sta a monte, e mette in evidenza una realtà dei fatti assai più drammatica. Detto delle scelte prive di visione strategica complessiva del numero uno della FIGC, maggiormente orientato a tutelare determinanti brand, che a favorire un modello di sviluppo virtuoso e sostenibile, spaventa il vuoto cosmico in materia di strategie – pure volendo pianificarle a medio/lungo termine – tese al rilancio dell’intero movimento. A cominciare dalle infrastrutture. Gravina vive di consensi immediati. Perciò nasconde il ridimensionamento, in atto comunque da qualche anno. D’altronde, non potrebbe fare altrimenti. Come i piazzisti, deve vendere alla tv il “prodotto calcio”. E sarà retorico sottolinearlo, ma l’unica lingua che comprendono appieno i network – non dimentichiamolo mai, società private con scopo di lucro – sono i profitti. Lecito domandarsi quindi che interesse concreto potrebbero avere per la nazionale italiana.
Sarà impopolare raccontarlo, ma il processo sembra dunque irreversibile. Il senso di questo percorso a ritroso nelle gerarchie pallonare è soltanto uno: il blasone serve a poco, perché la competitività di un movimento non si compra. Non esiste una perfetta proporzionalità tra gli ingaggi versati ai top player (o presunti tali…) nostrani e le loro performance in maglia azzurra. Inutile allora che Gravina sbandieri il peso storico dell’Italia: abbiamo perso credibilità, in particolare nei confronti di tutte le altre nazioni. Coloro che per tradizione rientrano del gotha dell’élite europea, nonché quelle etichettate come “minori”. Proprio queste nel frattempo hanno lavorato magnificamente, destinando risorse importanti a scouting, vivai e formazione. E adesso raccolgono quanto di buono seminato, mentre in federazione si ostinano a sbandierare una nobiltà caduta ampiamente in disgrazia.
Adesso le esigenze di rinnovamento si scontrano anche con il diniego di Claudio Ranieri, che ha gentilmente rifiutato la nomina a commissario tecnico. Meglio così: quanto sarebbe durato una persona dalla specchiata moralità come lui nell’interagire quotidianamente con gente che dietro le quinte ragiona esclusivamente in termini di business, privi della benché minima passione per il Gioco (doverosamente con la maiuscola…). In definitiva, non basta cambiare il selezionatore. Servono interventi legislativi capaci di innovare, creare valore e una visione d’insieme. Soluzioni di questo tipo può attuarle solamente il Governo, in primis, commissariando finalmente la FIGC.
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