Se c’è una cosa che più di tutte rimane impressa, quando si ascoltano le parole di Luciano Tarallo, storico preparatore dei portieri, in organico al Napoli dal 2005 al 2017, dunque sotto svariate gestione tecniche, è l’evidente passione per il ruolo. Oltre alla grandissima chiarezza con cui ne spiega analiticamente le performance, senza nessuna scorciatoia semantica. Al contrario, si percepisce in maniera inequivocabile la sua priorità: approfondire il comportamento degli estremi difensori, non empiricamente. Ma attraverso l’uso di specifiche modalità di analisi. Insomma, c’è tanta neuroscienza e biomeccanica del movimento, nelle sue digressioni.
“Ho l’impressione che talvolta si parli del portiere senza avere una reale consapevolezza del ruolo, tantomeno delle basi scientifiche che lo caratterizzano. E lo rendono diverso dai compagni, non solo perché è l’unico che può usare le mani. Un problema culturale, nel senso che il dibattito critico rimane poco scientifico. In generale, quando si parla di calcio si preferisce soffermarsi su moduli e numeri. Mentre i processi emotivi, che alimentano gesti e scelte tecniche, sono molto più forti ed articolati di quello che i tifosi vedono. E’ il difetto del sistema della comunicazione, poco attuale in quanto non aperto ai cambiamenti, alle novità: privilegia giudizi trancianti e sentenze definitive. Mentre l’arricchimento, determinando stratificazione nelle conoscenze, è indubbiamente un bene”.
A un personaggio del genere non può affatto piacere quel che succede quando il Napoli subisce gol. Ovviamente, il tema del dibattito, che sta diventando veramente tossico, è Alex Meret. Ormai scontato che spesso finisca sul banco degli imputati, chiamato in causa alla stregua del parafulmine, in modo da assolvere i reali responsabili. Anche quando le sue sono pressochè nulle, c’è sempre qualche tifoso (sobillato ad arte da una certa stampa ostile), che gli punta il dito contro, a prescindere. D’altronde, è costantemente sotto osservazione, proprio perchè non piace a una fetta consistente dei media. Pensandoci bene, una storia praticamente risaputa, che cancella una serie di parate compiute dal numero uno azzurro nel corso della stagione, quelle sì derubricate e ordinarie. Qualcosa del tipo, sono interventi “normali”, che deve fare quasi non naturalezza chi gioca in Serie A.
“Mi verrebbe da dire che Alex dimostra di essere resiliente alle critiche. Perché pur avendo avuto finora un rendimento costante, esiste una certa chiusura mentale nei suoi confronti, non so se alimentata ad arte. Sicuramente le aspettative di qualcuno non coincidono con le caratteristiche tecnico-tattiche del nostro portiere. Forse si apprezzano profili maggiormente spettacolari. Al pregiudizio, però, preferisco sempre opporre il pensiero divergente. Mi piace pensare a soluzioni inusuali di fronte ad una domanda specifica. Risolvere i problemi attraverso idee spesso originali. Del resto, è così che lavoro; che siano giocatori professionisti oppure quando faccio stage e lezioni nelle scuole o nelle academy”.
Virtù superiori ai difetti
Insomma, ogni volta che una partita va storta, aleggia la solita domanda all’ombra del Vesuvio: l’Airone friulano è abbasta forte per le ambizioni della squadra partenopea? Magari non effettua gesti tecnici da copertina, degni di essere immortalati dai fotografi, e perciò meritevoli della prima pagina. Nondimeno, è facile accorgersi di quanto sia determinante nelle circostanze in cui compie respinte salvifiche, sfoggiando intuizione e reattività. Del resto, ad una “big” serve avere un portiere che non faccia troppe sbavature, né con le mani, tantomeno coi piedi. Un profilo cioè che faccia la differenza nelle gare dove i singoli episodi spostano poi il filo sottile dell’equilibrio, da negativo in positivo. In tal senso, compagni e allenatore nutrono una grande fiducia in Meret, certi che garantisca continuità nel rendimento, oltre a veicolare un sostanziale senso di sicurezza Solo questo dovrebbe bastare a tacitare gli oltranzisti della critica in servizio permanente effettivo.
“Sono tanti i meriti di Meret nel campionato del Napoli. Non dimentichiamo che ha 28 anni. Per cui, nonostante le presenze ne fanno un veterano in maglia azzurra, rientra nella categoria degli estremi difensori che per età media, hanno ancora dei margini di crescita. Spesso viene trascurata la sua abilità nell’area tattica difensiva, cioè non solo nella parata, intesa come volo plastico che entusiasma i tifosi. Ma a difesa della porta e dello spazio. Per non parlare delle doti in situazione di sviluppo offensivo. Ovvero, come gestisce le transizioni, stimolando i compagni con i piedi. Aggiungo che il Napoli ha in rosa altri due portieri molto forti. Contini, esplosivo come pochi. E Scuffet: personalmente lo preferisco a Caprile, non solo per esperienza maturata in A ed all’estero. Quando ha giocato, è riuscito a dimostrare un senso tattico ed una tecnica podalica perfetta; l’anno passato aveva una percentuale altissima di passaggi riusciti”.
L’autocommiserazione pare non rientri nel dna calcistico di Meret; mai preso il sopravvento nei momenti di sconforto. Anzi, quando si sono manifestati dei problemi, ad esempio, dover migliorare l’uso dei piedi, ha cercato le soluzioni adatte per sviluppare quelle specifiche competenze. Non a caso, il Napoli adotta soluzioni tattiche per arrivare a padroneggiare il pallone e sviluppare skill in grado di coinvolgere attivamente il portiere, adattandosi alle difficoltà scaturite dal piano-gara degli avversari. Contro il Genoa, a causa dell’aggressività dei rossoblù, Conte ha dovuto usare Meret come rifermento per iniziare la costruzione. Una scelta obbligata, che costringeva il portiere a cercare la soluzione diretta, lanciando lungo verso Lukaku. Perciò il palleggio stentava a guadagnare metri con efficacia e brillantezza, limitandosi spesso al semplice controllo territoriale nella propria metà campo.
“Le statistiche della Lega testimoniano il netto miglioramento nella gestione del pallone con i piedi. Quando nel ’92 cambiarono le regole, è cresciuta costantemente l’importanza di usare il portiere come giocatore di movimento. Alex è cresciuto grazie all’apprendimento esplicito; la ripetizione univoca e costante del gesto tecnico. Perciò oggi è molto bravo a dosare le distanze. Precisissimo sul breve, cioè collaborando con i compagni in un range tra i 5 ed i 25 metri. Ma anche con lanci medi, fino a 40 metri, con cui pesca Politano aperto alla massima ampiezza. Sul lungo poi, quando mette la palla sul petto di Lukaku, oltre il cerchio di centrocampo, non si discute”.
Il “castello” non l’aiuta
Talvolta, affrontare un problema guardandolo da prospettive diverse consente di “educare” tifosi e addetti ai lavori sui temi più disparati legati al gioco. I due gol subiti contro il Grifone hanno denotato una mancanza di equilibrio nell’assetto sottopalla del Napoli, specialmente a difesa schierata, che ha finito per pregiudicare l’efficienza dei saltatori azzurri. Sicuramente poco aggressivi in occasione del 2-2 siglato da Vásquez. Incapaci, tuttavia, di cambiare atteggiamento, seppur in maniera impercettibile, sulla palla inattiva da cui è scaturito l’autogol di Meret, al punto da sfruttare appieno il contesto, traendo profitto dal disordine tipico delle aree affollate. Ahanor colpisce liberamente di testa nell’area piccola, e sfortuna vuole che il rimpallo tra il palo e il ginocchio del portiere mandi il pallone in fondo al sacco.
“Il portiere legge la giocata dell’avversario e reagisce in una frazione di secondo. Per cui deve elaborare un pensiero nello stesso spazio temporale. Intervengono almeno due fattori determinanti: il tempo di latenza, cioè il momento in cui prepara la parata. E tempo di percorrenza, che gli consenta di rispondere adeguatamente allo stimolo. In entrambi i momenti parliamo di millesimi di secondo, dove non è possibile programmare una nuova azione. Ecco spiegato l’autogol contro il Genoa”.
L’azione ha messo in luce anche una debolezza, per usare un eufemismo, nel “castello” predisposto da Conte, imputabile in parte alle scelte strategiche dell’allenatore. Nonché alla struttura posizionale della retroguardia partenopea. Insomma, il Napoli non è stato impeccabile nella gestione della situazione da calcio piazzato. La squadra partenopea, infatti, difende a zona, proteggendo primo e secondo palo, oltre a garantire la copertura facendo densità al limite dell’area di porta. In pratica, il tecnico salentino vuole che la linea si schiacci molto verso il basso. Così facendo, però, sottrae spazio al portiere per attaccare il cross con un’eventuale uscita alta. Inoltre, non permette di tenere lontani dalla porta gli avversari.
“Qua torniamo al concetto della chiusura, su idee vetuste. Uno dei maggiori luoghi comuni nel calcio è che l’area piccola sia un dominio assoluto del portiere. Per cui, ogni pallone vagante in quella zona dovrebbe essere di sua competenza. Non è così. Faccio un esempio per rendere meglio l’idea che veicolo ai miei allievi, professionisti o giovani del vivaio in fase di apprendimento: quello spazio è grande come un appartamento di media dimensione. Se poi è occupato pure da difensori e attaccanti che saltano per contendersi il pallone, si trasforma di colpo in una villetta monofamiliare. Immaginate uscire in presa alta o respinta di pugno in una situazione del genere”.
MVP al “Tardini”
A Parma, invece, Meret è stato il migliore in campo, in quello che verrà tramandato ai posteri come uno dei più incredibili finali di stagione nella storia recente della Serie A. Al “Tardini” è comparso all’improvviso nella partita, prendendosi la scena, dicendo due volte “no” al piede caldo di Sohm. Il primo tiro si doveva parare; ma sul secondo appare letteralmente miracoloso, stornando in angolo il tiro con la punta delle dita, ultima appendice di un corpo disperatamente proteso in tuffo per tutta la sua lunghezza. Alex ci arriva dopo aver già impostato la parata, ma una leggera deviazione imprime alla traiettoria un improvviso cambio di direzione, obbligando il friulano a reagire tempestivamente all’imprevisto, spingendo forte sulle gambe.
“Mi soffermerei specialmente sul secondo intervento, perché mi permette di approfondire il concetto di traslazione motoria. La deviazione, mentre Alex sta già immaginando il progetto motorio, lo obbliga a compiere un immediato processo cognitivo, che cambia completamente il suo movimento. Con la mente costretta a prendere coscienza ed elaborare in una frazione di secondo qualcosa di diverso rispetto a quanto immaginato allo scoccare del tiro”.
In definitiva, il mondo del calcio progredisce alla velocità della luce, pertanto, i portieri sono costretti ad adeguarsi, interpretando il ruolo con contaminazioni tecnico-tattiche lontane dalla tradizione. Meret ed il Napoli sono disposti a tenere il passo di questo processo evolutivo, senza sbandare, perché sanno perfettamente dove vogliono arrivare. E non cercano scuse. Tarallo ne è convintissimo: “Imparare cose nuove fa bene; arricchisce. Perché ti resta dentro qualcosa che non c’era prima…”.
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