Antonio Trovato è il referente dell’A.I.C. per la Campania. Da quando appese gli scarpini al fatidico chiodo, ormai qualche annetto fa, dopo una onesta carriera spesa su campi spesso polverosi, tra Serie D e C, non ha smesso un attimo di lavorare in favore di calciatori (e calciatrici) di ogni ordine e grado. Perché la sua mission rimane la salvaguardia dei diritti, inseguita con la medesima eleganza e abilità con cui si muoveva tra gli avversari. Tutela che ovviamente prescinde dalla categoria, nonché dallo status personale. All’interno di un contesto socio-economico come quello dell’italico pallone, in cui cambiamenti e (mancanza di…) progettualità sono all’ordine del giorno. In tal senso, oggi ancor più che in passato, è attuale lo slogan che coniò con orgoglio il fondatore dell’AssoCalciatori, Sergio Campana (“Il nostro è un sindacato di tutti, non solo dei campioni”), scomparso recentemente. Doveroso quindi ricordare il primo leader sindacale, presidente per un tempo lunghissimo (43 anni, dal 1968 al 2011), assolutamente convinto della necessità di mettere al centro del “sistema-calcio” i giocatori: veri protagonisti e mai comprimari o marginali.

Credo che sia doveroso considerarlo tra i più influenti dirigenti sportivi italiani per come ha contribuito negli anni all’evoluzione della figura del calciatore. Se oggi parliamo di diritti e tutele estesi a tutti, bisogna ringraziarne l’intuizione ed il grande impegno. Sembrerà banale, ma grazie al passato esiste il presente. E possiamo pensare di programmare il futuro con rinnovata fiducia”.

Visto dall’esterno l’ambiente sembrerebbe ben lontano dall’avere bisogno di patrocinio sindacali. Eppure non è oro tutto quello che luccica. Nonostante, per contratto, i calciatori siano accomunati dalla qualifica di “dipendenti”. Mentre un numero ristretto pensa a sé stesso maggiormente in chiave di azienda individuale, a responsabilità molto limitata. In effetti, le differenze tra lo show-business dei top player (o presunti tali…), che cannibalizzano la serie A, e le categorie inferiori, diventa sempre più ampio. Lapalissiano che a segnare il cambiamento siano le cifre scritte in calce alla voce stipendio. Imparagonabili certi ingaggi decisamente pesanti, se rapportati con quanto percepito in “busta paga” da onesti mestieranti della pedata. Inutile negarlo, o peggio, far finta di nulla. Anche tra i professionisti esiste il problema. Immaginiamo dunque come debba passarsela chi gioca tra i dilettanti, se tali profonde sperequazioni affliggono in primis la cadetteria e la Lega Pro.

Di strada ne abbiamo fatta tanta, sin dalla Legge n.91, che disciplinava i rapporti tra società e sportivi professionisti. Col tempo abbiamo fatto conquiste importanti in materia di tutela sanitaria e cura degli infortuni. Senza trascurare la garanzia del TFR, e gli accantonamenti per i calciatori che a fina carriera si ritrovano i contributi versati. Una cosa importantissima se consideriamo il momento storico-sociale che stiamo vivendo attualmente, e le difficoltà nel raggiungere le quote pensionistiche. Inoltre, dopo tanti anni di battaglie, finalmente abbiamo ottenuto anche per i dilettanti che stipulano un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, lo status di lavoratore sportivo. Con tutto quello che ne consegue a livello di riconoscimento giuridico e tutele varie. Insomma, abbiamo strappato una reale garanzia, tale da restituire loro una dignità lavorativa che prima non avevano”.

E’ sempre una questione di cuore

Il fiore all’occhiello dell’attività di Trovato è l’Equipe Campania. Una iniziativa storicamente legata all’idea di offrire una reale opportunità a chiunque, tra la fine di una stagione e l’approssimarsi dell’altra, sentisse l’esigenza di non staccare la spina. Innanzitutto, dal punto di vista mentale. Del resto, l’estate resta per antonomasia una fase delicata per la vita professionale dei calciatori, specialmente quelli svincolati. Perciò, ferocemente determinati a trovare un nuovo ingaggio. In tal senso, l’Equipe è qualcosa a metà tra un porto sicuro ed una vera istituzione, riconosciuta come tale sia dai giocatori, al quale viene garantito un supporto costante e quotidiano, per allenarsi. Ed al contempo, da società e direttori sportivi, consapevoli di pescare tra i ranghi dei “disoccupati” profili già pronti, sicuramente non indietro sul piano fisico. Anzi, il più delle volte, con un livello di condizione – emotiva e muscolare – invidiabile rispetto ad altri colleghi.

Innanzitutto, ci tengo a chiarire una cosa. Vorrei che nessuno li chiamasse disoccupati. Preferisco svincolati, in attesa di contratto Non è soltanto una questione di terminologia. Ormai siamo giunti alla sedicesima edizione. L’afflusso è tale da obbligarci a dividere i gruppi in due, distribuendoli tra le sedi di Mugnano e Angri, così da coprire in maniera capillare una vasta area geografica. Mi piace rimarcare che la scelta di aderire all’Equipe – che non coinvolge solamente calciatori della Campania – è innanzitutto una questione di cuore. Di chi compone lo staff, che mette a disposizione dei calciatori impegno e competenza. Permette loro di mantenersi calcisticamente in vita, almeno fino a quando non trovano una sistemazione. Ma anche degli stessi calciatori, che lavorano con impegno e abnegazione, senza mai l’impressione di avere un handicap rispetto a quelli che già hanno squadra”.

Prim’ancora che a livello calcistico, l’Equipe Campania cura molto il rapporto umano. Tra l’altro, l’obbligo degli Under, in Serie D ed Eccellenza, ha cambiato radicalmente la tipologia di utenti, ormai non più limitata esclusivamente ai professionisti.

 I ragazzi sudano quotidianamente, senza perdere mai il sorriso e l’entusiasmo, con un unico obiettivo nel mirino: arrivare pronti alla chiamata di una squadra. Lavoriamo a gruppi differenziati, così riusciamo a modulare i carichi. Sul campo ci dedichiamo a situazioni per reparti e allenamenti specifici sulla tecnica. Senza ovviamente trascurare il potenziamento in palestra. Fondamentale la sensibilità dello staff: il mio motto è che allenare all’Equipe aiuta anche gli allenatori a prepararsi, confrontandosi con tanti giocatori provenienti pure da esperienze assai diverse. Perciò bisogna calarsi nella parte, comprendere appieno il contesto, che è sì fisico e tecnico. Ma soprattutto, mentale. Sarò ripetitivo, ma rimane una questione di cuore”.

 Ormai appare evidente: ogni estate aumentano le difficoltà economiche, che colpiscono in maniera fragorosa anche la Serie B. Per non parlare della Lega Pro e delle categorie inferiori. Uno scenario in cui i calciatori rappresentano quasi sempre l’anello debole della catena.

 “Perciò il compito dell’Equipe è duplice. Chi ha già un contratto mantiene un elevato livello prestativo, senza perdere alcunché nel passaggio tra la fine della stagione e la convocazione in vista del ritiro, primo step della nuova annata. Al contempo, permette a chi attende una chiamata di arrivare pronto nel momento in cui trova sistemazione. Addirittura, con una marcia in più rispetto ai colleghi. Mi piace sottolineare, però, che le due tipologie sono accomunate dalla medesima applicazione e feroce determinazione. Il nostro lavoro consiste proprio nel far ritrovare stimoli e condizione, nel frattempo che arriva la chiamata giusta. La mentalità deve essere funzionale a pensare all’Equipe come la mia squadra”.

Sudore e meritocrazia fanno la differenza

Tralasciando la Serie A, un contesto quasi a parte, sempre più orientato allo show-business ed alla produzione di ricavi da entertainment sportivo, la crisi del calcio italiano è cronica. Eppure l’etica di taluni giocatori, impegnati a sudare mentre altri si godono le vacanze, rimane altissima.

Allenarsi da solo ti tiene forma, ma non ti prepara davvero a giocare. Il campo e le amichevoli, invece, sono un’altra cosa. Fanno la differenza, perché aiutano a ritrovare gradualmente il ritmo partita. Allora, gli allenamenti congiunti sono un appuntamento importante, perché regala minuti importanti ai ragazzi, permette loro di mettere in pratica quanto fatto durante le prime settimane di preparazione. Ed al contempo, offre interessanti spunti di riflessione allo staff, sia sotto il profilo fisico, che sul piano tecnico-tattico. L’occasione dove i nostri giocatori possono misurarsi con squadre di Serie C o D, in un clima sereno e costruttivo, grazie in primis alla disponibilità dimostrata da chi ci ospita. Pur non essendo il risultato al centro dell’attenzione, ciò che colpisce è l’atteggiamento collettivo: determinazione, impegno e senso di appartenenza, caratterizzano le nostre partite. L’entusiasmo messo in campo testimonia la voglia dei ragazzi di farsi trovare pronti per le sfide future”.

Insomma, c’è il rischio concreto che si inaridisca ulteriormente il bacino di utenza dei giocatori di formazione italiana, eleggibili cioè per la Nazionale. Con effetti nefasti generati a pioggia, dal settore giovanile al calcio minore.

 La massiccia presenza degli stranieri è solo la punta dell’iceberg. Credo, invece, che il reale problema da affrontare sia quello della formazione: non deve essere un obbligo. La regola degli Under, pensata originariamente per favorire l’emersione dei giovani talenti, non ha sortito gli effetti sperati. Lo dicono i numeri. Imporre l’uso di determinate classi di età le favorisce nell’immediato, ma ne pregiudica lo sviluppo medio termine. Ragazzi usati e poi quasi gettati via, dopo averli illusi, se non addirittura sfruttati per le esigenze di talune società. Personalmente, sono cresciuto nella Puteolana e la Berretti era il serbatoio naturale da cui attingeva la Prima Squadra, che faceva la C. Quando giocavamo il sabato, non era raro vedere l’allenatore ed il direttore sportivo alle nostre partite. Lì ti mettevi in mostra, e strappavi una convocazione per allenarti con loro il giovedì. Poi era tutta questione di sudore e impegno, passare da semplice aggregato dalle giovanili a membro stabile della rosa”.

Possibile dunque immaginare un futuro diverso per la categoria, magari puntando maggiormente su chi, come i frequentatori abituali dell’Equipe, rappresentano un concentrato di passione?

Sicuramente sì, per questo insisto sul concetto che obbligare per diritto a schierare certe classi di età gli garantisce un privilegio, ma non la voglia di mettersi in discussione. Per cui, magari giochi titolare un paio di stagione, però senza reali miglioramenti, poi sei costretto a fare un passo indietro. Vado oltre: qualcuno addirittura regredisce. Pensiamo a qui ruoli, tipo terzino oppure esterno, dove generalmente vengono relegati gli Under. Deputarli esclusivamente a certe posizioni ne limita le prospettive future. E’ banale, tuttavia la meritocrazia prescinde dall’età e dalla zona di campo. Se hai delle qualità, voglia di crescere e sudi per realizzare il tuo sogno, probabilmente diventare poi un calciatore professionista non sarà così arduo!”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Please follow and like us:
Pin Share
Facebook
YouTube