Quattro giornate di Napoli
Quattro giornate di Napoli parte della Resistenza italiana nella Seconda guerra mondiale |
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![]() Napoli, distruzioni in città; nell’immagine, le macerie delle abitazioni che si affacciavano su via Nuova Marina, nell’area portuale di Napoli. |
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Data | 27 – 30 settembre 1943 | ||
Luogo | Napoli | ||
Causa | Insurrezione della popolazione contro l’occupazione tedesca | ||
Esito | Vittoria della popolazione civile | ||
Schieramenti | |||
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Comandanti | |||
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Effettivi | |||
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Perdite | |||
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140 morti civili 19 morti non identificati |
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Le quattro giornate di Napoli furono un’insurrezione popolare con la quale, tra il 27 e il 30 settembre 1943 durante la seconda guerra mondiale, la popolazione civile e militari riuscirono a liberare la città di Napoli dall’occupazione delle forze tedesche della Wehrmacht.
Il moto valse alla città il conferimento della medaglia d’oro al valor militare e consentì alle forze Alleate, al loro ingresso a Napoli il 1º ottobre 1943, di trovare la città già libera dai tedeschi, grazie al coraggio e all’eroismo dei suoi abitanti ormai esasperati e ridotti allo stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima tra le grandi città europee a insorgere contro l’occupazione tedesca, per giunta con successo.[4]
Il contesto storico
I bombardamenti sulla città e l’occupazione tedesca
Per tutto il primo quadriennio di guerra (1940–1943) i bombardamenti su Napoli da parte delle forze Alleate erano stati durissimi e avevano causato ingenti perdite in termini di vite umane anche tra la popolazione civile. Si calcola che oltre 25 000 furono le vittime di questi attacchi alla città; solo nel bombardamento del 4 agosto 1943 perirono oltre 3 000 persone; circa 600 morti e 3 000 feriti si ebbero per lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto, il 28 marzo 1943.[5][6] Molto gravi anche i danni al patrimonio artistico e culturale: la Basilica di Santa Chiara ad esempio fu semi-distrutta il 4 agosto 1943.
L’inizio della campagna d’Italia, con lo sbarco Alleato in Sicilia il 9 luglio 1943, la caduta del fascismo il 25 luglio e la successiva avanzata delle forze Alleate nell’Italia meridionale all’inizio di settembre avevano indotto esponenti dell’antifascismo partenopeo tra cui Fausto Nicolini e Adolfo Omodeo a stabilire più stretti contatti coi comandi Alleati, invocando la liberazione della città.
A partire dall’8 settembre, giorno dell’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile, le forze armate italiane – a Napoli come in tutto il resto del Paese – si trovarono allo sbando per mancanza di ordini dai comandi militari. La situazione, già difficile per i bombardamenti pregressi e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20 000 tedeschi a fronte di soli 5 000 italiani in tutta la Campania), ben presto si fece caotica dopo la diserzione di molti alti ufficiali, incapaci di assumere iniziative quando addirittura non conniventi con i tedeschi; significativa in tal senso la fuga in abiti borghesi dei generali Riccardo Pentimalli ed Ettore Deltetto, cui era affidata la responsabilità militare della provincia di Napoli: gli ultimi atti di Deltetto furono proprio la consegna della città all’esercito tedesco e la stesura di un manifesto che vietava gli assembramenti, autorizzando i militi a sparare sulla folla in caso di inadempienza. Al vacillare dei vertici seguì lo sbando delle truppe, a loro volta incapaci di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche. Sporadici tentativi di resistenza si ebbero solo alla Caserma Zanzur, alla Caserma dei Carabinieri «Pastrengo» e al 21º Centro di Avvistamento di Castel dell’Ovo.
Primi scontri
Sin dai giorni immediatamente seguenti l’armistizio, in città si andarono intensificando gli episodi di intolleranza e resistenza verso i tedeschi e azioni armate – più o meno organizzate[7] – fecero seguito alle manifestazioni studentesche del 1º settembre in piazza del Plebiscito e alle prime assemblee nel Liceo Classico «Sannazaro» al Vomero.
Il 9 settembre, verso le ore 16, in via Foria truppe tedesche tentarono di sequestrare armi lunghe (moschetti mod. 91 e qualche MAB 38) a militari e ad agenti di pubblica sicurezza, alcuni dei quali in abiti civili; gli italiani dapprima fuggirono, quindi al sopraggiungere di un autoblindo reagirono con un agguato catturando il mezzo blindato e una ventina di soldati tedeschi; questi, tuttavia, furono liberati poco dopo per ordine del Comando Militare Italiano, e i militari italiani puniti. Il giorno stesso alcuni cittadini si scontrarono con le truppe tedesche al Palazzo dei Telefoni, mettendole in fuga, e in via Santa Brigida; quest’ultimo episodio vide coinvolto un carabiniere costretto a sparare per difendere un negozio dal tentato saccheggio da parte di alcuni soldati.
Il 10 settembre, tra piazza del Plebiscito e i giardini del Molosiglio, avvenne il primo scontro cruento nel quale i militari italiani e alcuni cittadini napoletani riuscirono a impedire il transito di alcuni automezzi tedeschi; nei combattimenti perirono tre marinai e tre soldati tedeschi. Gli occupanti ottennero la liberazione di alcuni uomini fatti prigionieri dagli insorti, anche grazie a un ufficiale italiano che intimò ai suoi compatrioti la riconsegna degli ostaggi e di tutte le armi. La rappresaglia per gli scontri di piazza del Plebiscito non tardò ad arrivare: i tedeschi infatti appiccarono un incendio alla Biblioteca Nazionale e successivamente aprirono il fuoco sulla folla intervenuta.
L’11 settembre alla Riviera di Chiaia un piccolo reparto tedesco assaltò un distaccamento di Pubblica Sicurezza ospitato in un albergo, bersagliandolo a colpi di mitragliatrice. Gli agenti reagirono con i moschetti mod. 91 in dotazione, scesero in strada e costrinsero i tedeschi alla resa.[8]
Nel frattempo, i tedeschi catturarono e/o affondarono numerose navi italiane nelle acque e nel Porto di Napoli:[9]