La seconda amichevole del Napoli nel ritiro di Dimaro, al di là della vittoria (2-1) sul Catanzaro, è confortante, poiché rappresenta un altro passettino verso una continuità nella proposta di gioco, che in termini di brillantezza, i carichi di lavoro rendono chiaramente ancora lontana da venire. Nondimeno, i tifosi presenti allo stadio hanno già potuto apprezzare almeno mezz’ora di qualità; oltre alle prime giocate sontuose di De Bruyne. In tal senso, diventa piuttosto emblematico il modulo ibrido scelto per affrontare i giallorossi: una sorta di 4-3-3 abbastanza mascherato, con abbondanti prove tecniche di 4-2-3-1.
D’altronde, Antonio Conte è un allenatore che rientra nell’alveo ristretto dei “big” della panchina cui piace mantenere un baricentro medio/basso: squadra stretta e corta tra le linee – tendenzialmente mai lunga sul campo -, nonché blocco solido e compatto sottopalla. Sia beninteso, sostenere un atteggiamento del genere non è mica da tutti. Il gruppo lo scorso anno ha dovuto adeguarsi a richieste diverse. Tali da prendere poi dimestichezza con modi differenti di approccio all’avversario di turno. Del resto, il tecnico salentino è uno specialista nel veicolare un’idea di calcio assai duttile. Dal 3-4-2-1 con cui aveva inizialmente impostato i suoi, al 4-3-3 del girone di andata, per arrivare al 3-5-2 che ha caratterizzato la volata finale, la fluidità rimaneva il principio ispiratore.
L’importanza di Politano e Di Lorenzo
Insomma, l’arrivo di De Bruyne non deve affatto essere considerato un cortocircuito concettuale, in grado cioè di rompere con il gioco posizionale che ha permesso agli azzurri di cucirsi lo Scudetto sul petto. Sarà curioso vedere come il belga riuscirà a inserirsi nella “nuova” versione del Napoli. Allora, la prima discriminante da stimolare sarà proprio la simbiosi con la catena di destra: Politano e Di Lorenzo avevano sviluppato in quella specifica porzione di campo un’intesa pressoché perfetta.
In effetti, il dinamismo sulla fascia destra lasciava che entrambi, a turno, assumessero il ruolo di protagonista o comprimario. Partendo dal presupposto che nei momenti di difesa più strenua i partenopei preferivano trasformare lo schieramento iniziale, con Politano che non si faceva mica problemi a correre all’indietro, scalando quindi nello slot di “quinto”. Avere un esterno offensivo efficiente in fase di non possesso rendeva maggiormente sostenibile un sistema dove Di Lorenzo leggeva la disposizione altrui, e si comportava di conseguenza. Perciò, se il terzino sinistro avversario sceglieva di accorciare aggressivamente, uscendo in ampiezza su Politano, il capitano stringeva, sovrapponendosi internamente, Nel caso in cui avesse assorbito il taglio eseguito da Di Lorenzo, seguendolo, lasciava invece lo spazio al numero 21 in maglia azzurra di attaccare liberamente l’ultimo terzo di campo.
A proposito del lavoro a tratti oscuro compiuto da Politano e Di Lorenzo all’interno di uno scenario tattico che cerca di anteporre sempre gli interessi del collettivo, bisogna sottolineare due cose. In primis, quando il capitano si butta dentro, non solo concede l’iniziativa al compagno di catena, ma previene pure eventuali transizioni negative, facendo de facto una copertura preventiva. Al contempo, la vocazione al sacrificio di Politano non rende insoddisfatto Conte, che si assicura così una discreta affidabilità della retroguardia sui cross, con lo scivolamento di Olivera, deputato a preservare il secondo palo.
Neres già in palla
Tornando per un attimo all’amichevole contro i calabresi, è apparso subito evidente il contributo offensivo, associato a Neres, offerto da De Bruyne. E chi ne sostiene la pesantezza (“tiene la panza”, ha affermato qualcuno…) farebbe meglio a spostare l’attenzione sui Mondiali di nuoto, capaci di dare tante soddisfazioni al pubblico televisivo. Il brasiliano si trova ad occhi chiusi con l’ex Manchester City, forse perché parlano la medesima lingua. Ieri di solito Neres aspettava molto aperto in fascia lo scarico, ed una volta ricevuto, si isolava nell’uno vs uno con Verrengia. E se Nuamah portava il raddoppio, era intelligente a dialogare col numero 11. A quel punto, il belga, che tratta la palla con piedi educatissimi, e raramente la butta via, trovava il modo migliore di far progredire l’azione, chiudendo il triangolo. E attivando l’esterno dietro il marcatore diretto. In definitiva, la notizia è che da questa accoppiata potrebbe nascere qualcosa di bello.
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