Il Napoli dominante per almeno 80’ ammirato a Firenze non ha avuto alcun problema a mantenere la gestione del possesso, costringendo la Viola ad abbassarsi negli ultimi 25 metri di campo grazie a un paio di novità introdotte da Conte all’alba della nuova stagione. Perciò, oltre alle classiche rotazioni posizionali ed alle soluzioni sviluppate in catena, non deve sorprendere la fattiva collaborazione in fase di prima costruzione da parte di De Bruyne, che contribuisce a destabilizzare la struttura predisposta da Pioli per sottrarre il pallone agli azzurri. L’allenatore salentino prepara combinazioni specifiche, partendo da un teorico 4-3-3, stimolando proprio la capacità del belga nello svuotare l’area nominalmente di competenza (sulla carta, l’half space di sinistra). Quindi, abbassarsi a sostegno dei compagni, che siano i difensori centrali piuttosto che Lobotka. Una situazione “alla Kroos”, tipica del playbook di Guardiola quando allenava il Bayern Monaco. Ovvero aprendosi nei corridoi intermedi per sottrarsi al pressing aggressivo orientato sull’uomo. Ricevere lo scarico sostanzialmente smarcato, e dopo far progredire l’azione.
Ma il contesto tattico favoriva anche un’altra giocata, che ha finito con lo schiacciare la Fiorentina nell’ultimo terzo di campo. Un ruolo determinante l’ha ricoperto dunque Hojlund, in grado di tenere il duello individuale contro Pongračić: l’esempio lampante di come il danese abbia manipolato l’avversario diretto (apparso in grande difficoltà…), il movimento “a mezzaluna” con cui s’è liberato dalla marcatura, aggredendo poi lo spazio alle spalle dell’avversario diretto. Sopportandone il ritorno in virtù di un magistrale uso del corpo, frapposto con sagacia e intelligenza tra la palla ed il croato di passaporto tedesco.
Ad acuire gli scricchiolii difensivi dei gigliati ha provveduto anche Milinković-Savić, un interprete fenomenale nell’attivare Hojlund con i suoi lanci sulla figura. La retroguardia di Pioli, accettando la parità numerica in zona arretrata, ha sofferto la mobilità ed il dinamismo del centravanti ex Manchester United: un vero incubo per tutto il match di ieri. Uno scenario cavalcato con efficacia da Vanja, che a palla scoperta obbligava Pongračić a rompere l’allineamento, per essere aggressivo sul suo riferimento. Che si è aggiunto ai già noti problemi creati solitamente agli avversari dalla fluidità posizionale del calcio di Conte.
Il portiere serbo – che magari non è il migliore tra i pali, ma ha piedi da giocatore di movimento – arricchisce indubbiamente la costruzione bassa del Napoli, poiché codifica in maniera radicale le esigenze del gioco contemporaneo. Guardarlo fa un certo effetto, specialmente quando genera vantaggio sulla scorta di visione e bagaglio tecnico, che gli consentono soluzioni balistiche praticamente ad ogni altezza; sulla corta, media e lunga distanza. Non si tratta solamente di qualità nei fondamentali. C’è pure tanta freddezza e personalità, oltra alla lucidità nello scegliere a chi passarla, nel momento in cui la squadra si dispone per l’uscita dal basso, con i due centrali larghi e Lobotka vertice alto. Oppure preferendo la traccia verso De Bruyne, allargatosi sul centro sinistra.
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