Nella storia della stagione del Napoli in pochi hanno vissuto gli alti e bassi di Leonardo Spinazzola. Destinato inizialmente ad occupare lo slot di laterale sinistro a tutta fascia, nel 3-4-2-1 immaginato da Conte all’alba del campionato, l’ex Roma ha perso presto i galloni da titolare. Meglio Olivera, nel 4-3-3: un terzino mancino ordinato, che magari lavora con le marce basse, quasi a voler imprimere un ritmo non troppo intenso alle sue sovrapposizioni. Evidente l’intenzione di non mandare fuori giri le rotazioni predisposte dall’Uomo del Salento, privilegiando maggiormente la fase di copertura, affinché fossero prima Kvaratskhelia, poi Neres, gli esterni deputati ad azzannare la fascia. Due profili assai tecnici ed ipercinetici, quindi, che hanno bisogno di isolarsi in situazione di uno contro uno per trovare le migliori soluzioni offensive.
L’infortunio del brasiliano ha suggerito una variazione all’allenatore, che ha deciso di impiegare Spinazzola alto nel tridente d’attacco. Strategia che invece di innescare la più classica delle crisi di rigetto, l’ha convertito da gregario a coprotagonista. Lui che fino a quel momento di sicuro non godeva dello status di inamovibile nell’undici di partenza, non s’è fatto schiacciare dall’onere di dover per forza determinare, destreggiandosi comunque efficacemente al di fuori della propria comfort zone. Dimostrando così di avere gli strumenti per gestire la situazione.
Monumento al gioco posizionale
Addentrandosi nell’interpretazione tattica del ruolo, appare chiaro il modo di muoversi in campo dell’ex giallorosso: senza alcuna inibizione, legittimando la scelta di Conte, che l’ha responsabilizzato non poco, è riuscito a creare una solida intesa con i compagni. Specialmente quelli che si avvalgono della sua corsa, indipendentemente da quanto riesca a incidere sul piano qualitativo: Olivera dietro, in marcatura preventiva, con Lukaku là davanti a “fissare” i difensori. Il manifesto della spasmodica ricerca dell’interscambio prevede di sovraccaricare un lato, per costruire il tradizionale triangolo offensivo, che permette a Big Rom di fare la sponda, all’interno di un sistema di gioco dove il numero 37 in maglia azzurra, ruotando con McTominay, garantisce la massima ampiezza. Oppure si butta dentro, disorientando gli avversari nell’half space.
Insomma, il contributo offerto da Spinazzola non è stato inaspettato, tantomeno casuale. Mandando definitivamente in archivio il dibattito sulla fragilità dei ricambi in organico. Ritenuti sostanzialmente inadatti ad assorbire le scorie di un’annata in ogni caso logorante, pur mancando le Coppe europee. In definitiva, Leonardo è un monumento al senso tattico di Conte, che ha avuto ragione ancora una volta, quantomeno dal punto di vista pratico. Chiudendo con i suoi adattamenti il cerchio alle mille sovrastrutture di cui è spesso prigioniero l’ambiente napoletano. Preoccupato a vario titolo di un problema che a loro dire potrebbe condizionare il rush finale verso lo scudetto.
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