E’ solo calcio d’estate, ma perdere non piace a nessuno. Detto questo, trasformare in tragedia lo 0-2 (sicuramente inaspettato…) subito dal Napoli nella prima amichevole stagionale contro l’Arezzo appare davvero pretestuoso. Sorprendono perciò i tentativi di chi, invece di giustificare le gambe appesantite dall’intensità dei carichi di lavoro, ci abbia ricamato abbondantemente su, inondando l’etere locale e nazionale con fiumi di parole. Magari anche inutili, considerando la stanchezza, endemica nella fase iniziale del ritiro. Specialmente quando qualcuno ha scomodato un mucchio di stereotipi: per esempio, l’ostinazione di Conte nel voler professare un certo gioco. Invece è possibile estrapolare cenni di indicazioni positive pure nella sconfitta, perché sembra che l’allenatore salentino quest’anno non voglia accontentarsi, puntando su una copia carbone della squadra capace di vincere lo scudetto. Evidente, infatti, l’intenzione di lavorare su nuovi princìpi tattici, fondati comunque sulla fluidità dei movimenti e sull’interscambio posizionale. Peccato poi che rotazioni e letture degli spazi si trasformino di colpo in punti deboli, se le gambe non rispondono efficacemente. Un dettaglio non di poco conto.

Questa forse è la chiave per capire realmente le difficoltà incontrate dal Napoli, schierato con un 4-3-3 spurio. Nel senso che lo sviluppo situazionale spesso faceva oscillare il sistema verso il 4-2-3-1. Azzurri, quindi, che nonostante la trazione offensiva, con Zanoli nella posizione di esterno alto, inventatagli al Genoa da Vieira, si dimostravano impacciati nella metà campo aretina. Probabilmente a causa di ritmi assolutamente non estremizzati, associati a reattività ai minimi termini. Nondimeno, a sprazzi, i Campioni d’Italia hanno sviluppato un possesso qualitativo. Perciò non è sbagliato affermare che già si intravedono i tentativi di proiettarsi in profondità di Lang, nonché la tendenza a verticalizzare, insita nel dna di De Bruyne. Chiaro che l’Arezzo sia riuscito ad assorbire tali giocate, in virtù di una discreta organizzazione, ideale per fare densità e chiudere gli spazi. Inevitabile allora cercare maggiormente la costruzione manovrata, con Hasa vertice basso, libero di spostarsi nel cono di luce centrale, piuttosto del lancio lungo su Lucca. I riferimenti, seppur ancora macchinosi, restano i terzini. Più in generale, l’idea di sovraccaricare il lato forte, ruotando Di Lorenzo oppure Olivera, affinché stringano dentro al campo, mentre la mezzala di parte si inserisce alle spalle dei centrocampisti, o l’esterno taglia dietro la linea difensiva.

Nella ripresa le cose non sono affatto cambiate. L’intensità ha continuato a latitare; tuttavia si sono intraviste due situazioni interessanti. In primis, il lavoro in coppia di Beukema e Rrahmani, che non sono andati a prendere gli attaccanti amaranto quando si defilavano lateralmente, tantomeno rompevano la linea, per aggredire forte in avanti. Sintomo che la mancanza di lucidità suggeriva di presidiare la “zona rossa” davanti al portiere. Ma nella copertura reciproca e nelle preventive già dimostrano un atteggiamento dominante. Da rivedere con un diverso grado di glicogeno nelle gambe e di ossigeno al cervello. Poi un discorso a parte lo merita Neres. Nessuna menzione d’onore, sia ben inteso. Però il brasiliano è apparso arzillo e voglioso di puntare l’avversario. Decisamente quello che si è comportato meglio in campo aperto, specie se isolato in situazione di uno vs uno.

In definitiva, si può tollerare l’inevitabile sfotto sui social, ma sarebbe lecito andare molto piano a etichettare come disastroso il debutto del Napoli: i dubbi in quantità industriale sulla validità del “nuovo” progetto architettato da Conte ce l’hanno solo i commentatori superficiali.

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