La tua squadra che, impazzita di gioia, al culmine dei festeggiamenti, ti lancia in aria. E ancora, un premio prestigioso, dall’alto valore simbolico, come quello di Coach Of The Season. Il giro di campo stringendo orgogliosamente il cartello con la scritta again, ormai il mood di questo quarto scudetto del Napoli. C’è tutto questo, e tanto altro, nel post partita di Antonio Conte, letteralmente sommerso da un amore senza limiti né condizioni dal popolo del “Maradona”. Del resto, succede così quando sei l’artefice principale di un capolavoro: il tuo nome resta impresso lì, immortalato per sempre tra le pagine della Storia. Per cui, suggelli indissolubilmente il legame con la città ed i napoletani.

In effetti, solamente Don Antonio, vincente per antonomasia e portatore sano di leadership, poteva rimettere in piedi una situazione davvero disperata. Ecco, la scorsa estate era necessaria una figura di riferimento. Che avesse il carisma per assumersi l’onere di restituire credibilità ad una squadra (e una società…) che appena pochi mesi prima aveva amministrato talmente male il post scudetto, da rischiare di finire derubricata a fenomeno di passaggio nel gotha della Serie A. Innegabile, dunque il contributo fondamentale offerto dall’Uomo del Salento nel raggiungere un grande risultato. Perciò non vanno trascurate le sue parole, che tradiscono un comprensibile orgoglio per quanto fatto all’ombra del Vesuvio quest’anno.

La mia vittoria più inaspettata e stimolante… Vincere a Napoli è difficilissimo, si arrivava da un decimo posto e qui era tutto sfasciato!”.

Simbiosi e senso di appartenenza

Insomma, nulla era scontato. Allora, suscitano tenerezza quelli che arricciavano il naso per il gioco poco gradevole. Oggi è cominciata la gara per salire sul carro dell’allenatore. Soprattutto chi non aveva creduto ciecamente nel suo progetto, si affretta a mascherare con forza le sue idee. Invece, lo scudetto di Conte è fatto sì di scelte tattiche talvolta radicali, ma non solo. Perché la vera bellezza di questo Napoli nasce dalla capacità di creare una enorme simbiosi con lo spogliatoio. A dimostrazione che specialmente ai massimi livelli bisogna condizionare il cuore e la testa dei giocatori. Il collettivo come enclave, quindi, all’interno della quale si è autoalimentato il senso di appartenenza e la cultura del sacrificio. Oltra alla voglia di vincere, ovviamente. Cosa rara, nel calcio del terzo millennio: uno scenario in cui la mission delle proprietà non sempre converge con gli interessi di chi opera quotidianamente sul campo. E dove spesso gli stessi calciatori parlano di gruppo, comportandosi poi come la più classica delle aziende individuali.

In definitiva, la gestione di Conte evidenzia come entrare sottopelle all’intero ambiente di lavoro conti ancora tantissimo. Forse proprio questo modus operandi rende lo scudetto profondamente radicato con la piazza partenopea. Ergo, bellissimo e indimenticabile.

Neanche il tempo di smaltire la sbornia, che adesso diventa attuale il dilemma amletico circa il tecnico salentino: resterà o andrà via? Sembra che la condizione di precarietà sia un obbligo, in particolare se si accomodano al medesimo tavolo due personalità decisamente forti, che magari hanno visioni divergenti rispetto al futuro del Napoli.  L’incontro con De Laurentiis dovrebbe concretizzarsi nei prossimi giorni. Sarò interessante capire cosa offre il presidente, e quanto peso avranno le sue promesse nelle valutazioni di Conte. In questo senso, al di là della decisione finale delle parti, resta granitico il sentimento di gratitudine verso l’allenatore del quarto scudetto. Per cui, che decida di lasciare o raddoppiare, avrà sempre un posto speciale negli annali azzurri.

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