Prima del fischio d’inizio il Napoli guardava all’Atalanta con ansia: un approccio al match sicuramente paranoico, se consideriamo la classifica degli azzurri, a ridosso della vetta, e ancora pienamente in corsa per passare il turno in Champions League. Lecito chiedersi se il pessimismo cosmico che ammantava l’ambiente partenopeo fosse dunque frutto solo della sconfitta di Bologna, oppure in seno al gruppo covasse un certo malessere, strettamente connesso a problemi di natura strutturale, tali da derubricare le ambizioni dei Campioni d’Italia in potenzialità inespresse.

Insomma, regnava l’incertezza circa la direzione che avrebbe preso Conte, intrappolato in un limbo tra la logica di rasserenare lo spogliatoio, dopo averlo incendiato con le dichiarazioni post Dall’Ara. E il tentativo di accantonare (temporaneamente?) la sua proverbiale suscettibilità, ogni qual volta sente diminuire l’influenza all’interno del contesto lavorativo. In tal senso, hanno fatto storia le clamorose dimissioni dalla Juventus; oppure l’addio al Tottenham, preceduto dalla frecciatina inviata a mezzo stampa alla proprietà (“La storia del Tottenham negli ultimi venti anni è questa, non hanno vinto nulla…”).

Chissà che non sia davvero la cosa giusta dimenticarsi delle accuse mosse alla squadra (la mancanza di cuore, l’orticello a cui ognuno pensava e l’intenzione di non accompagnare il morto…); meglio per tutti fare finta che non siano mai state profferite. Altrettanto importante, però, non rimediare altre figuracce, tipo Bologna o Eindhoven.

Senza Anguissa, spazio ai trequartisti

Dalle parole ai fatti. Se alla vigilia Conte si aspettava dalla squadra una reazione forte, convinta, per silenziare qualsiasi polemica, era troppo ghiotta l’occasione per dar vita a un cambiamento. Che non significa sconfessare il suo credo tattico; bensì tornare all’antico. E rilanciare la difesa a tre, per riuscire a trasformare in energia positiva i limiti attuali; un rito di passaggio invece del presunto cambiamento epocale. Che equivale a ribaltare alcune gerarchie. In primis, schierando due terzini “puri” sugli esterni, deputati ad arare la fascia su e giù. Forse un tentativo di dare maggiore solidità ad una squadra orfana di Anguissa, finora imprescindibile per gli inserimenti e l’impatto fisico. Perciò il centro di gravità della manovra s’è spostato verso McTominay, chiamato a interpretare il ruolo di mezzala in chiave tradizionale. Perché poi a invadere gli spazi con meno vigore atletico e maggiore propensione ultra-offensiva provvedono Neres e Lang. Nominalmente schierati nel tridente come ali, in realtà lasciando la corsia e occupano l’half space, a caccia del taglio alle spalle della mediana bergamasca.

Resistere con efficacia alla Dea

Conte deve avere studiato nel dettaglio virtù e debolezze dell’Atalanta. Il Napoli sviluppa un possesso lineare al cospetto della disciplina con cui gli orobici cercano di pressare ai limiti del maniacale sui riferimenti, con l’obiettivo di determinare contrapposizioni a uomo. Soluzione ideale per essere in parità numerica nelle varie zone di campo. E creare densità centrale. D’altronde, Palladino lo conosciamo: metto in scena un sistema in cui tutti accorciano in avanti, alzando ferocemente l’intensità del pressing fino a livelli insostenibili, manifestando un’aggressività fuori scala. Atteggiamento ossessivo, funzionale a soffocare la manovra, togliendo tempo e spazio al possessore, nonché ai possibili appoggi; forzando l’errore, per recuperare subito palla e far ripartire gli attaccanti da posizioni più avanzate. Oltre a ridurre al minimo le tipiche rotazioni dei napoletani, potenzialmente in grado di generare caos nella trequarti altrui.

Così, i padroni di casa fanno girare il pallone da destra a sinistra, o viceversa. Tuttavia, appena provano a imbucare in maniera pulita, cioè con passaggi filtranti tra le linee, fanno tremendamente fatica a diventare imprevedibili, visto che i nerazzurri sembrano segugi sulle tracce della volpe. E riescono con grande applicazione sia a schermare le tracce interne, sia, in caso di retropassaggio, ad alzare il blocco medio, pressando i difensori.

Allora, nel tentativo di minimizzare i rischi, il Napoli cerca di aggirare la pressione con la prima costruzione di Lobotka, che detta i tempi di uscita del pallone da dietro. Lo slovacco, abile nel venire a giocare basso, è abbastanza a suo agio nel calpestare lo spazio tra i centrali difensivi, moltiplicando gli effetti della salida lavolpiana. E da lì, allargare poi il gioco sulle catene laterali. Morale della favola, riesce a tenere pazientemente il palleggio, nonostante gli ospiti veicolino la sensazione di essere comunque in controllo, comprimendo il campo in verticale o in orizzontale.

Del resto, è un problema già palesato in circostanze simili, la difficoltà nell’occupare la trequarti avversaria, contro squadre che accentuano la pressione sul portatore di palla. Non a caso, in certi spezzoni di partita, il lancio lungo da football americano di Milinkovic-Savic funge da vero quarterback. Il portiere estremizza il concetto di esplorare la profondità dalla difesa, non perché costretto per disperazione a calciare a casaccio; ma offrendosi come consapevole scappatoia al pressing insistito.

Difendersi con ordine

La rete di salvataggio di fronte alle iniziative avversarie rimane sempre la difesa posizionale, con Beukema, Rrahmani e Buongiorno solidamente piazzati davanti alla propria area. Così il Napoli rende difficile alla Dea scovare un corridoio, radicalizzando il concetto di “attacco e copertura”, mantenendo alta la soglia dell’attenzione. Quindi, blocco compatto, ammassando giocatori nella propria metà campo: perché il Napoli resta una squadra dall’indole conservativa, che attesta il baricentro ad un’altezza media, senza schiacciarsi troppo nei pressi dell’area di rigore. Magari talvolta macchinosa, poiché aspetta che l’avversario sbagli, piuttosto di orientarsi all’intercetto.

Nondimeno, per sopravvivere, e non arrivare impreparato ai momenti in cui l’Atalanta alza il ritmo, Conte prova sì ad addormentare il gioco, ma chiede ad uno dei centrali di staccarsi dalla linea difensiva, uscire fino alla trequarti a prendere l’avversario di riferimento. Opzione cruciale per lasciargli meno tempo per pensare, girarsi e puntare; coprendo contemporaneamente le spalle dei centrocampisti. Nel frattempo, le scalate all’indietro di capitan Di Lorenzo e Gutierrez garantiscono adeguata sicurezza alla linea.

La forza odierna è tra le linee

Al Napoli la strategia di invadere l’ultimo terzo di campo è riuscita proprio in seguito a un lungo possesso perimetrale, combinando nello stretto, con i giocatori molto vicini tra loro, che sovraccaricano la zona di possesso, così da favorire gli inserimenti alle spalle del centravanti. Ergo, la fluidità delle catene laterali, eseguite col giusto timing, consente di punire le scalate difensive dell’Atalanta, attaccando lo spazio dietro i quinti. Eccola, la volontà di impegnare la retroguardia di Palladino con un numero decisamente superiore di risorse offensive rispetto al recente passato: gli esterni si allungano in avanti, in modo da schiacciare Djimsiti e Ahanor, mentre l’esterno in zona palla si affianca in prima linea a Hojlund, con conseguente duelli individuali ingaggiati in zona centrale.

Con Neres che, aldilà della doppietta, pare avere superato la crisi personale, per cui il Napoli si è ritrovato con una risorsa capace di muovere la palla in situazione di isolamento, anche nello stretto, riuscendo a consolidare il possesso ed attaccare in verticale. Evidente, sul versante opposto, la collaborazione di Lang, pure lui bravo lasciare la posizione “originaria” ed accompagna l’azione sul lungo. Spingendo entrambi sull’acceleratore, hanno assicurato a Conte ampiezza e sovrapposizioni interne, con movimenti alle spalle della mediana di Palladino. Un meccanismo semplice, innescato dal movimento incontro della punta danese.

Sofferenza solo a tratti

L’ingresso di Scamacca ha dato un pizzico di brio agli ospiti, che scegliendo inizialmente un tridente senza vertice alto, con De Ketelaere e Lookman aperti e Pasalic in qualità di “falso nove”, evidentemente puntavano sul dinamismo e gli interscambi per offendere. Al netto di una discreta pressione esercitata dal 46’, l’Atalanta ha costruito un’azione degna di nota solamente in occasione del 3-1. Gli orobici hanno generato un due contro uno laterale, propedeutico a creare spazio e crossare; con Scamacca che si butta in avanti per sfruttare la situazione, e anticipa l’intervento, battendo Milinkovic-Savic sul primo palo. Da lì in poi, tanto palleggio, e poco altro.

In definitiva, la convinzione con cui Conte ed i suoi uomini hanno tenuto fede a una precisa identità tecnico-tattica non era scontata. Segno che il gruppo, preso coscienza di dover cambiare rapidamente una situazione che stava degenerando, è tornato finalmente in salute, voglioso di scacciare le nubi cupe addensatesi su Castelvolturno durante la pausa per le nazionali. Continuando quel processo di evoluzione nel quale le vecchie certezze si fondano con i nuovi princìpi di gioco, affinché il Napoli proponga un calcio di stampo maggiormente “europeo”. Ovvero, non soltanto reattivo, come quello della scorsa stagione.

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