View from behind of a Woman looking her reflection in the mirror

Sempre più spesso le cronache italiane si aprono con storie che non dovrebbero esistere. Storie di ragazzini, non adolescenti, non “giovani adulti”: bambini che si ritrovano soli con pesi troppo grandi per le loro spalle.

Non servono i dettagli, non serve riaprire ferite: basta un dato che fa tremare. Un’altra giovanissima vita si è spenta, e ancora una volta ci costringe a guardarci allo specchio.

Cosa sta accadendo ai nostri figli?

La generazione che cresce oggi è immersa in un mondo iper-connesso ma emotivamente fragile. A 10, 12, 13 anni si trovano a fare i conti con:

  • pressioni sociali, scolastiche e familiari

  • isolamento emotivo

  • confronto costante con modelli irraggiungibili

  • ansia e paura di non essere “abbastanza”

Si parla spesso di bullismo, social network, famiglie distratte. Ma il filo rosso che tiene insieme tante di queste storie è uno solo: una richiesta di aiuto che non siamo riusciti a intercettare in tempo.

Un biglietto, una frase, uno sguardo mancato

A volte il dolore di un bambino non urla: sussurra.
E noi adulti, genitori, docenti, istituzioni, comunità, abbiamo il dovere di imparare ad ascoltare quei sussurri.

Un’emergenza invisibile

Oggi più che mai servono:

  • programmi scolastici che includano educazione emotiva

  • sportelli psicologici realmente accessibili

  • formazione per insegnanti e genitori

  • spazi sicuri dove i più piccoli possano raccontarsi senza paura

Perché la salute mentale non è un lusso: è la base su cui si costruisce ogni futuro.

Chiudiamo gli occhi per un istante

Immaginiamo una bambina di 12 anni che va a scuola con uno zaino pieno di libri e un cuore pieno di qualcosa che non sa spiegare.
È lì che dobbiamo arrivare.
Prima che il dolore si trasformi in silenzio.
Prima che un gesto diventi irreversibile.
Prima che la notizia diventi l’ennesima notifica sul telefono.

Non servono colpevoli da puntare. Serve responsabilità da condividere.

Ogni storia come questa è un campanello d’allarme per tutti.
Non per giudicare, ma per capire.
Non per indignarsi, ma per agire.

Perché quando a cadere sono i più piccoli, cadiamo tutti.

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