Il secondo anno di Antonio Conte sulla panchina del Napoli si sta trasformando rapidamente in uno strisciante braccio di ferro con una parte consistente dell’ambiente partenopeo. Da qualche settimana a questa parte, infatti, si ingrossa la schiera di opinionisti e operatori dell’informazione che a vario titolo iscrivono il loro nome in quella sorta di Guerra Santa intrapresa nei confronti del gioco di posizione sviluppato finora dai Campioni d’Italia. Chiara l’intenzione di tale disputa ideologica: abiurare i principi postulati dall’allenatore salentino, spacciandoli per inaridimento tattico. Specialmente quando la squadra si schiaccia a protezione dell’area di rigore, abbassandosi con tutti gli effettivi sotto la linea della palla, imprimendo alla partita una paziente deriva oltranzista in termini difensivi. Eppure non più tardi di qualche mese fa proprio questo modo di giocare, per certi versi semplice, ha prodotto la vittoria dello scudetto.
Una strategia comunicativa portata avanti praticamente da quasi tutta la stampa napoletana, che sta provocando una destabilizzante tensione. Manco gli azzurri covassero in seno i prodromi del fuoco amico, in grado di minacciare la tranquillità mentale del gruppo. Peccato che Conte non abbia mai tradito i suoi ideali calcistici: continua a concentrare la maggior parte delle sue energie nell’esercizio indiscriminato del controllo. Restringendo gli spazi, in fase di non possesso; organizzando nel dettaglio una struttura che primeggia nelle statistiche relative alla gestione del pallone. Anche se talvolta questo non basta ad accumulare occasioni da rete.
Eccellenti alcune giocate

Ma cos’è che effettivamente stanno abiurando i teologi del “Conte out”? In primis, il rifiuto al pressing; il fatto che il Napoli tenga il baricentro vicino alla propria porta, piuttosto di tentare il recupero alto. Una soluzione buona per utilizzare la pressione come arma di dissuasione e controllo, invece che strumento ultra-offensivo, propedeutico ad attivare rapide transizioni. Peccato che costoro dimentichino un piccolo particolare: gli azzurri sono cattedratici nel destrutturare gli avversari, grazie agli inserimenti tra le linee delle mezzali. Quando Anguissa e McTominay occupano i corridoi intermedi e arrivano a rimorchio, saturando l’area, diventano letteralmente immarcabili. Questo non è forse il frutto della spietatezza con cui l’azione progredisce sulla direttiva palla avanti/dietro/dentro? Indubbiamente, il Napoli ha raggiunto un livello di eccellenza in questa giocata specifica.
Nondimeno, se la pazienza in costruzione dovrebbe essere la logica premessa per determinare poi potenziali pericoli, arrivare concretamente a creare nitide palle gol è ben altra cosa. Ed in tal caso ha ragione chi sostiene che la mancanza di intensità spesso è un trend diffuso, capace di anestetizzare le velleità offensive, al pari di un virus debilitante. Insomma, con Conte ormai abbiamo trasceso il classico dualismo tra “giochisti” e “risultatisti”; categorie cui erano ascritti per esempio Sarri e Max Allegri, tra i maggiori profeti di un calcio esteticamente accattivante oppure privo della benché minima gradevolezza, sacrificata sull’altare della classifica da incrementare ad ogni costo.
Grigiore comunicativo

Allora, ripensando a quello che sta accadendo all’ombra del Vesuvio in questi giorni, magari è il grigiore comunicativo di taluni a incarnare l’estremismo radicalizzato di certi pregiudizi. E non la filosofia tecnico-tattica postulata dall’Uomo del Salento. Vero è che attualmente il Napoli non brilla, ossessionato dal concetto di solidità. Però sarebbe sbagliato affermare che giochi così male da attirare gli strali della critica. Non domina, ma resta comunque efficace; a sancirlo, il primo posto. Nonostante il mantenimento degli equilibri ne rallenti il palleggio, rendendo monocorde percorrere la strada che separa Milinkovic-Savic dal collega piazzato sul lato opposto.
In definitiva, il miglioramento offensivamente passa per forza di cose dal mantenere costante per 90’ una intensità sub-massimale; l’unica maniera per ambire davvero a dominare l’avversario con le rotazioni, gli interscambi posizionali e la creatività nell’ultimo terzo di campo, giocate vitali specialmente in questo periodo di assenza di De Bruyne.
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