Innegabile che finora il comportamento del Napoli in Champions League sia stato decisamente contraddittorio. Gli azzurri si trovano decisamente lontani dalla zona più interessante della classifica. Ed il pareggio contro l’Eintracht, tra l’altro a reti bianche, contribuisce a complicare le velleità di qualificazione al turno successivo. Conte, abortito il progetto 4-1-4-1 con l’infortunio di De Bruyne, sta provato a ridisegnare la squadra tornando all’antico. Ovvero, puntando su un sistema buono per riscoprire meccanismi meno complessi rispetto a quelli necessari a mettere in ritmo i famigerati Fab Four: il classico 4-3-3, sinonimo di stabilità e coerenza tattica.
Forte la convinzione che questa scelta possa riverberarsi positivamente sul gioco. I Campioni d’Italia nelle ultime uscite hanno mostrato sì dei limiti, ma sostanzialmente legati alla mancanza di ritmo. Perciò, chi dopo il match coi tedeschi ha duramente criticato l’allenatore (praticamente quasi tutta la stampa napoletana, magari mossa da un recondito desiderio di rivalsa nei confronti di un personaggio ingombrante sul piano della personalità comunicativa…), trascura la qualità del palleggio. Chiaro che percentuali altissime di possesso non equivalgono nel dominio dell’avversario. Alla manovra servono indubbiamente dei correttivi, specialmente in termini di intensità. Perché, in ogni caso, al Napoli riesce facile risalire il campo. La questione, allora, non riguarda esclusivamente un’uscita pulita partendo dal basso.
Manca l’intensità, non gli inserimenti
Eppure, nella ripresa ha dimostrato di saper sviluppare quelle proverbiali azioni, in grado di ribaltare efficacemente il campo, potendo connettere alla giocata in avanti – la sponda di Hojlund –, una rifinitura perfezionata dall’imbucata tesa poi a stimolare l’attacco profondo sulla direttrice esterna. Quindi, i tradizionali movimenti con cui gli azzurri occupano l’area di rigore, e le mezzali che arrivano a rimorchio per tentare di intercettare il cross dal fondo. Insomma, altro che confusione; gli inserimenti di Anguissa e McTominay, al netto di un pizzico di stanchezza, restano una certezza. Come, del resto, la ritrovata solidità difensiva, nonostante Conte continui a preferire l’approccio conservativo; cioè il controllo degli spazi, attestandosi su un blocco medio, piuttosto di pressare forte in avanti. Proprio la questione relativa al pressing a palla persa o in situazione di riaggressione è una delle colpe attribuite al tecnico salentino, accusato di avere dunque un atteggiamento poco attivo. Manco lo scudetto vinto lo scorso anno non fosse comunque frutto della medesima fluidità posizionale, nonché delle rotazioni associative, che fanno della squadra partenopea un esempio di calcio relazionale, sicuramente assai competitivo a livello di Serie A.

Ovviamente, per rimettere in sesto il cammino europeo, scavallando la “fase campionato”, occorre ben altro. Nella Coppa dalle Grandi Orecchie serve la fisicità, che al Napoli non manca. Ma anche piedi educatissimi e letture visionarie. Tolto De Bruyne, profili con tali caratteristiche scarseggiano in rosa. I detrattori dell’allenatore, gli stessi che in estate lo dipingevano come l’unico portatore sano di mentalità vincente in un ambiente altrimenti abituato al lamento facile ed all’isteria, adesso gli imputano una certa rigidità tattica. Dimenticando forse il vestito diverso indossato dagli azzurri nel campionato passato, quando nel girone di ritorno il 3-5-2 si trasformò nella panacea per castigare l’Inter.
Rispolverare la difesa a tre può essere la soluzione? Idealmente, in organico, centrali affidabili, capaci di adattarsi al nuovo format, ci sono. Inoltre, spostarsi nella posizione di braccetto destro, bloccato in fase di impostazione, gioverebbe al Di Lorenzo attuale, palesemente appesantito nelle gambe. Sotto questo aspetto, Politano e Spinazzola, garantendo spinta propulsiva e abilità nelle coperture sotto la linea della palla, sono spendibili a tutta fascia, senza che questo tipo di impego impedisca loro di costruire legami tecnici con Anguissa e McTominay. Considerando le lungodegenze di De Bruyne e Lukaku, resta il problema di chi, trequartista o punta “vera”, affianchi Hojlund oppure gli si metta alle spalle, consentendo al Napoli di essere maggiormente incisivo negli ultimi sedici metri.
Incognite sugli esterni

In aggiunta, c’è da chiedersi che fine farebbero Neres e Lang, icone del concetto di offensive player schierato a piede invertito, che assicura ampiezza, uno contro uno e all’occorrenza sa convergere dentro al campo. Fino ad ora il brasiliano, spesso relegato a sinistra, posizione a lui non troppo congeniale, ha sofferto il continuo sballottamento da una fascia all’altra. Nondimeno la mancanza di chiarezza su quale fosse lo slot in cui potesse esprimersi compiutamente, non ne ha favorito l’esplosione definitiva. Continua ad andare a sprazzi, alternando cose meravigliose a scadenti manifestazioni di depressione tecnico-tattica. Evidente che il modo migliore di utilizzarlo è in concorrenza con Politano. Che tuttavia, pur non avendo lo spunto in dribbling che era solito dare qualche partita fa, al momento appare il riferimento privilegiato per il ruolo di ala destra. Chissà che Conte non risolva l’incongruenza elevando Lang a titolare della fascia mancina. Più probabile che in questa fase della stagione si insista su Elmas, rinato inaspettatamente e tra le poche buone notizie emerse nelle pieghe delle partite contro Como ed Eintracht.
In definitiva, le domande alle quali l’allenatore dovrà dare risposta non sono poche. Però il Napoli deve necessariamente perfezionarsi; ottimizzare ogni sua risorsa. Anche se non è ancora chiaro quando si concretizzerà effettivamente tale miglioramento.
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