Ormai sembra una cosa naturale come il Napoli perda l’ennesima partita, “consolidando” l’ultimo posto in classifica nel Primavera1 per effetto della settima sconfitta consecutiva. Un ruolino di marcia talmente assurdo da apparire del tutto normale. Mentre sarebbe il caso di cominciare a preoccuparsi, al di là delle figure barbine inanellate in giro per l’Italia, invece di nascondere la polvere sotto il tappeto. Il 3-0 rimediato in casa dell’Inter segna dunque uno dei punti più bassi nella storia recente del club partenopeo a livello di settore giovanile. Peccato che la società stia accettando supinamente la situazione, senza fregarsene più di tanto. Difficile, allora, non fargliene una colpa. Vero è che per una neopromossa misurarsi in un campionato così competitivo sarebbe stato come andare all’università. Ma le delusioni in serie non vanno sottovalutate, e suggeriscono comunque interventi improcrastinabili.
Purtroppo gli azzurrini, al cospetto di un avversario quotatissimo (non dimentichiamo che i nerazzurri sono Campioni d’Italia in carica), hanno mostrato non soltanto timore reverenziale, ma un evidente divario tecnico-tattico. Come del resto, già in tante altre occasioni, veicolando perciò l’impressione di essere perennemente fuori contento in questo campionato. Come se la concorrenza fosse semplicemente più forte. Non si tratta mica di poca determinazione o mancanza di cattiveria agonistica. L’unica chiave di lettura plausibile è che, probabilmente, questo progetto di squadra ha innegabili limiti strutturali.
Non si spiega altrimenti l’indecifrabilità di certe partite come quella di oggi, dove il Napoli ha subito la fisicità di Idrissou e la rapidità di Mosconi. A spaventare, tuttavia, sono la mezz’ora iniziale letteralmente regalata, con un atteggiamento rinunciatario ed un baricentro bassissimo, che ha favorito l’intensità della pressione offensiva altrui. Nonché, i tempi di reazione dell’intero collettivo partenopeo, costantemente in affanno davanti al palleggio qualitativo degli uomini di Benito Carbone, manco i padroni di casa andassero ad un altro ritmo, decisamente maggiore. Oltre agli spazi concessi alle ripartenze interiste: quasi delle praterie ogni qual volta Berenbruch riconquistava palla e attivava i compagni in transizione.
Insomma, i numeri non sono affatto lusinghieri, ed essere il fanalino di coda del campionato non va assolutamente decontestualizzato. Al momento, latita qualsiasi idea che consenta di disputare 90’ così buoni, al punto da conquistare un risultato positivo. Finora la gestione di Dario Rocco non è riuscita a offrire granché sul piano della proposta di gioco collettivo, tra uomini e moduli ruotati in continuazione. Quindi c’è poco da salvare; qualche buona individualità e (quasi…) null’altro. Che però predica nel buio. Forse bisogna ripartire da qui. Ma la strada verso la salvezza è irreversibilmente in salita.
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