Sarà pure un concetto banale, ma dopo la sconfitta contro il Manchester hanno cominciato a crescere e prosperare intorno al Napoli inquietanti opinioni, che invece andrebbero subito scacciate. Il tribunale dei social, alimentato da opinionisti, influencer, scosciate e amici degli amici, che gravitano intorno alla squadra partenopea, traendo linfa vitale per siti vari e trasmissioni assortite, stanno facendo a gara, con l’obiettivo di guadagnare visualizzazioni, alimentando il clickbait. Un ambiente del genere è decisamente poco d’aiuto, poiché rende la vita complicatissima allo staff tecnico ed ai giocatori.
In realtà, Conte ed i suoi ragazzi sembra che si siano fatti scivolare addosso le tante parole e qualche commento velenoso di troppo maturato nel post Etihad: nessun fantasma, dunque, tantomeno strascichi polemici riportati a Castelvolturno dalla trasferta oltre la Manica. Ritrovarsi impantanati con l’inferiorità numerica era una situazione indubbiamente complicata da gestire. Il rosso diretto a Di Lorenzo per fallo da ultimo uomo su Haaland ha inclinato inesorabilmente la partita verso il City. Una montagna insormontabile, molto più grande da scalare di quello che si poteva pensare di fare in dieci contro undici.
Tutto diverso ad armi pari
Magari 20 minuti non sono sufficienti per decretare il sostanziale equilibrio che stava regnando tra le contendenti. Però i Citizens tutta questa superiorità tecnica e fisica, tale da schiacciare anche emotivamente i Campioni d’Italia, mica l’avevano mostrata. Al contrario, almeno inizialmente sembrava che il piano-gara predisposto da Conte – alzarsi in pressing sin dentro la trequarti inglese, andando aggressivamente uomo vs uomo – potesse chiudere il cerchio tattico di una Napoli che raramente aveva espresso un’autorità del genere in termini di pressione ultraoffensiva. Insomma, una gradevole sensazione di dominio territoriale, da replicare ovviamente per 90’, su un palcoscenico in cui generalmente si confrontano i top club europei. Basterebbe questo piccolo particolare per immaginare un match che ad armi pari, piuttosto che scorrere a senso unico, poteva entrare a pieno titolo tra le migliori partite della riformata Champions League.
Il punto non è questa sconfitta, sicuramente eleggibile tra gli imprevisti necessari per completare la crescita mentale di questo gruppo. Bensì, il modo in cui gioca attualmente il Napoli – un calcio dinamico e proattivo, talvolta contenuto a fatica dagli avversari –, che pare denotare ampi margini di miglioramento. Nonostante l’esordio nella Coppa dalle Grandi orecchie abbia testimoniato una solidità ormai nota, punto di forza nel corso della cavalcata scudetto. Forte allora l’impressione che gli azzurri ancora non abbiano palesato interamente il loro reale potenziale.
Ora testa al Pisa
Adesso bisogna accantonare subito la comprensibile amarezza e legittimare la lectio magistralis difensiva tenuta al cospetto di Guardiola. Si farebbe infatti un torto a non sottolineare la prestazione di spessore assoluto sfoderata sul piano della tenace resistenza sotto la linea della palla. Gestendo in modo professorale ogni spazio, garantendosi con sacrificio assistenza e copertura reciproca. Perciò urge guardare al Pisa con rinnovata fiducia. Per tornare a stupire. Perché ci sono partite che fanno da spartiacque di una stagione, segnando il prima e il dopo. E chissà che la storia di quest’annata non racconti un giorno di Manchester come uno dei momenti chiave.
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