di Benedetto Manna

 

Compito degli storici è mettere ordine alle fonti antiche della storia. Per Napoli, essendo numerose, ma episodiche ed eterogene per origine, date, si tratta di intervenire nel quadro di dipendenze storiografiche divergenti e nella giusta prospettiva cronologica e storica. Però se le fonti scritte costituiscono un corpus concluso, il dossier dell’archeologia si arricchisce di continuo con nuove testimonianze, aprendo ogni volta il dibattito. Merito va agli archeologici che operano sul terreno, ma nel contempo va ricordato l’attenzione degli studiosi napoletani ai lavori teorici dell’archeologia urbana. Si tratta di ripensare dati e problemi, di cercare di passare dallo studio della città fisica (l’archeologia) allo studio dei cittadini (archeologia urbana). L’osservazione sul processo di formazione e il tema della continuità interim della città antica attraverso tanti monumenti preludono a un data base in ambiente GIS, che è fondamentale strumento di lavoro per lo studio su Napoli. Un discorso su Napoli antica, che voglia fondarsi solo sulla evidenza archeologica, si scontra immediatamente con la episodicità e casualità di questa evidenza. “E’ questa la situazione tipica di una città che ha stratificato sullo stesso sito la sua storia e che ha vissuto conservando e insieme consumando sé stessa con modificazione, ristrutturazione, rivitalizzazione, che nei vari momenti storici hanno interessato il tessuto originario in maniera non omogenea e diseguale. Il processo ricostruttivo che voglia ripartire dal dato archeologico deve quindi tener conto della intersezione degli elementi spaziali (v. quadrato centrale nel centro storico di Neapolis) e temporali della documentazione, avendo sempre presente la complessità” (da Ida Baldassarre nel catalogo della mostra del 1985; testo ripreso nelle raccolte del suo scritto “La Dimensione del Passato” a pag.162). Al di là delle calamità naturali (es: frane, terremoti), cablaggio dei cavi telefonici, cavi Enel, interventi su fognature, lavori della metropolitana hanno dato luogo al salto di qualità per una Napoli che è  e verrà sempre più conosciuta come patrimonio dell’Umanità, come lo è già il suo centro storico, grazie alla riapertura di nuovi centri museali come previsto a Castel Nuovo, e di nuovi itinerari storici cittadini “parlanti”, che si vanno ad aggiungere alle già presenti “stazioni museo” della linea metropolitana. Si vedrà se poi ciò porrà rimedio finalmente al guasto che si è prodotto a Napoli con il fenomeno quasi globale dell’overtourism, di tutte le dominazioni vissute la peggiore. Si dovrà evidenziare, prima o poi, che i luoghi di Napoli “veri”, non sono quelli delle fiction, e che la gentrificazione, che ha preso piede, possa al più presto bloccarsi, per non condividere il malaugurato destino delle cosiddette “città d’arte”, a scapito della sua secolare identità umana, parte integrante della “pelle” autentica di Napoli, che giustamente va difesa e riconosciuta. Per Napoli possono diventare salvifici i risultati raggiunti con l’imponente lavoro del progetto Forma Urbis Neapolis, grazie all’avanzamento delle conoscenze apportate da un data base, esteso a tutto quello messo finora in luce dell’antica città e delle fortificazioni, con la planimetria digitale e con la tecnica GIS, a vantaggio della conoscenza e conservazione del disegno urbano neapolitano. Ricerche analoghe a quelle sulla costruzione geometrica della pianta di Napoli, sono state condotte in anni piuttosto recenti sul centro etrusco di Marzabotto, che ha il pregio di trovarsi in un’area campestre esplorabile archeologicamente per intero senza ostacoli. Una Neapolis etrusca in val Padana. Il ritrovamento delle medesime corrispondenze architettoniche- urbanistiche storiche anche a Marzabotto, confermano che lo stesso l‘orientamento per strigas appare determinato in base a rigorosi principi e tracciati con l’impiego di figure geometriche semplici, come rettangolo aureo, e strumenti altrettanto semplici, come lo gnomone, il regolo e il compasso. Per chiudere si riporta una citazione di Italo Calvino da “Le Città invisibili” del 1972, dal capitolo ”La Città e la Memoria”: “Guardatevi dal dire loro che tal volta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome; nascono e muoiono senza essersi conosciute incomunicabili  fra loro; alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali e l’accento della voce e persino i lineamenti delle facce, ma gli Dei che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati degli estranei.”

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