Aurelio De Laurentiis si racconta in un’intervista al Corriere della Sera con Paolo Condò che attraversa calcio, cinema, progetti futuri e ricordi personali. Ne emerge il ritratto di un uomo che ha fatto della contaminazione tra mondi diversi e della fedeltà alle proprie idee la chiave del successo. La stagione appena conclusa ha riportato il Napoli al vertice, guidato da Antonio Conte e De Laurentiis ricorda l’inizio del rapporto con  il tecnico, nato molto prima dell’accordo: «Molti anni fa lo incontrai alle Maldive, in vacanza con la famiglia. Passammo giornate a nuotare e parlare di calcio. Mi spiegò il suo modo di lavorare e io rimasi affascinato dal rigore che lo animava. Uno stakanovista sul lavoro, come me». Quando a novembre scorso esonerò Garcia, lo chiamò a colazione: «Gli offrii di subentrare subito. Mi rispose con onestà che sarebbe venuto, ma a giugno, per ricostruire insieme la squadra. E così è stato».

La vittoria dello scudetto è stata seguita da giorni intensi: «Dopo la partita col Cagliari, andammo a Ischia a festeggiare il mio compleanno. Poi la parata sul lungomare, che ha raccolto oltre 70 milioni di spettatori nel mondo, e l’udienza dal Papa. Subito dopo ci chiudemmo in una stanza io, Conte, Chiavelli e Manna per gettare le basi della nuova stagione. Senza bisogno di dire nient’altro».

Non sono mancati momenti delicati, come la cessione di Kvaratskhelia a gennaio ma De Laurentiis chiarisce: «Nessuna frizione con Conte. Dovevo farlo. Il procuratore minacciava di ricorrere all’articolo 17 del regolamento Fifa e l’avremmo perso quasi gratis. Ho scommesso sulla capacità del mister di vincere anche senza di lui, ed è stata una buona puntata». L’articolo 17, spiega, consente a un giocatore di liberarsi dopo tre anni pagando un indennizzo minimo: «Essendo due cifre basse, l’indennizzo sarebbe stato irrisorio rispetto al valore del giocatore». Sul fronte Osimhen, invece, «l’abbiamo venduto al Galatasaray per 75 milioni più bonus. E con reciproca soddisfazione».

Le cessioni eccellenti hanno aperto la strada a un mercato ambizioso. «Volevo dare a Conte due squadre forti», racconta. L’arrivo di Kevin De Bruyne è la punta di diamante, ma non l’unico investimento. Conte, da parte sua, considera lo scudetto vinto a maggio il punto più alto della sua carriera, e ha deciso di tentare a Napoli un nuovo assalto all’Europa. Ha espresso entusiasmo per i nuovi arrivi, da De Bruyne a Lorenzo Lucca, che il tecnico è convinto di far crescere fino al livello internazionale.

De Laurentiis rivendica la filosofia gestionale seguita in questi anni: «Ho sempre voluto un Napoli sostenibile, senza inseguire il debito. Il calcio deve imparare dal cinema a costruire spettacolo e a rispettare i bilanci». Non è un caso che la sua storia personale nasca proprio sui set: «Ho cominciato dal basso, come aiuto segretario di produzione. A 34 anni decisi: adesso si fa come dico io. È andata bene». Cita con orgoglio i maestri del cinema italiano con cui ha lavorato: Age, Scarpelli, Monicelli, Verdone. E aggiunge: «Li so trattenere, i migliori».

Il presidente non dimentica il passato glorioso del club: «Maradona l’ho avuto davvero, ha persino recitato in un mio film. Ma Napoli non può vivere solo di nostalgia, deve guardare avanti». E lo fa con progetti concreti: uno stadio nuovo, moderno, capace di diventare simbolo della città. E una battaglia per una Serie A a 16 squadre, più competitiva e sostenibile, con più partite in chiaro.

L’intervista mostra un De Laurentiis combattivo, convinto che il Napoli debba continuare a crescere senza farsi intimidire dai colossi europei. «La mia filosofia è trattenere i migliori, come ho fatto con Monicelli o Verdone nel cinema. E ora con Conte».

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