Ci sono tornei internazionali di karate che trascendono i punti che assegnano nel ranking, trasformandosi in una vera celebrazione della comunità del tatami. Nel valutare il fascino della Youth League di Poreč, infatti, concorrono la tradizione, che fa della manifestazione in Croazia uno dei principali appuntamenti calendarizzati dalla WKF per quanto riguarda le categorie giovanili, con 4 classi in gara: U21, Juniors, Cadetti e U14. A raccontarci le atmosfere vissute fuori e dentro i tappeti di gara dagli italiani della FIJLKAM provvede il Maestro Emilio Fotino, membro della CNAG (Commissione Nazionale Attività Giovanile), nonché direttore tecnico di una delle società più continue nel collezionare podi vari e assortiti, a livello nazionale e internazionale: la Shizoku Avellino. Un ruolo delicato, il suo: seguire le nuove generazione, aiutando giovani e giovanissimi a sbocciare, prendendo definitivamente il volo.
“Poreč rientra sicuramente tra le tappe fondamentali dell’attività agonistica giovanile. Ci sono alcuni tra i più forti, provenienti anche da nazioni molto lontane, tipo gli australiani. Perciò la gara in Croazia assicura un notevole livello tecnico. Ed è molto ambita, tant’è vero che le richieste di iscrizione sono spropositati rispetto ai posti garantiti, al punto che sono rimasti fuori atleti assai titolati. Un piccolo inconveniente che ha prodotto i suoi effetti pure sugli arbitri: in Croazia non c’erano gli italiani. Non per cattiva volontà, ma semplicemente per ritardo nelle procedure di accredito. Ovviamente, questo non significa che abbiamo perso un potenziale vantaggio o una tutela. Del resto, se scorriamo il medagliere, i risultati della spedizione italiana sono stati veramente pregevoli”.
Questo grande appeal spiega perché ci fossero gli ingredienti per divertirsi, oltre alla organizzazione del classico training camp, al quale partecipano profili provenienti da ogni angolo del mondo, che svolgono allenamenti congiunti assieme ai “Top Player” del tatami. Un banco di prova non indifferente, ed al contempo il sogno di una vita, incrociare i guantini con indomiti combattenti tipo Anđelo Kvesić, Luigi Busà, Steven Da Costa o misurarsi nel kata con personaggi carismatici del calibro di Maho Ono e Koji Arimoto. Quando spiegano, li ascoltano quasi in religioso silenzio. Sono giorni intensi, dunque, caratterizzati da esercitazioni in cui gli occhi seguono le mosse di chi ha scritto un pezzetto della storia del karate contemporaneo. Finito l’allenamento, li circondano, chiedono consigli. Del resto, non capita tutti i giorni di ricevere una dritta dai più forti. Qualcuno degli “allievi” addirittura chiede foto e autografi.
“Indubbiamente, lo stage con i campioni rappresenta uno degli elementi del successo della gara croata. I giovani sono affamati di esperienze. E tendono a emulare i loro beniamini, da cui traggono molto spesso ispirazione. Al tempo stesso non va dimenticato che chiunque abbia velleità di fare punti in ottica ranking, determinanti per conquistare un posto in Nazionale per i prossimi Europei giovanili di Cipro, non può mancare a questi appuntamenti“.
Viaggio nel talento con numeri impressionanti
Parlavamo di numeri impressionanti. Per intenderci, la “Zatika Sports Hall” di Poreč ha ospitato oltre 3.000 atleti provenienti da ben 78 paesi. Tra le delegazioni più numerose, proprio quella italiana, con 462 iscritti. Entrando nel dettaglio, emerge un dato significativo chiarissimo: la ricchezza in termini di qualità del gesto tecnico è stata altissima. Un trend che si riscontra anche scrollando il medagliere della spedizione italiana, che chiude – tra kata e kumite – con un bottino complessivo di 20 podi conquistati nell’arco dell’intero evento: 8 medaglie Under 21 (tre ori, due argenti e tre bronzi), 4 Juniores (due argenti e due bronzi), 4 Cadetti (un oro, due argenti e un bronzo) 4 Under 14 (tutti bronzi).
Un bellissimo viaggio sulle montagne russe del talento, allora, che ha avuto un preludio nel Seminario Nazionale tenutosi a Riccione. Un raduno cui hanno partecipato atleti e atlete posizionati nei primi tre posti del ranking giovanile, insieme ai componenti delle varie Nazionali. A testimonianza che sul piano fisico, tattico e delle abilità nei fondamentali, il lavoro sul vivaio procede spedito. In maniera massiccia e capillare. Insomma, sembrava tutto apparecchiato affinché potenziali “fenomeni generazionali” o semplici agonisti in divenire dessero il meglio, esaltandosi e condividendo il loro genuino entusiasmo. Perché si percepisce l’opportunità offerta da un appuntamento del genere, talmente importante da svoltare la carriera. Si legge negli occhi dei ragazzi la consapevolezza che potrebbe essere un momento decisivo nel loro percorso. L’occasione che ti stravolge letteralmente la vita agonistica.
“Il seminario permette di avere un confronto costante tra i più forti, quelli che occupano stabilmente i primi tre/cinque posti di ogni categoria. Ovviamente, non tutti potranno poi essere convocati in Nazionale e partire per le manifestazioni ufficiali, tipo Europei o Mondiali. Però questi incontri collegiali permettono di monitorare il progresso di ciascuno di loro. La costruzione del talento passa proprio per occasioni del genere, dove si incontrano atleti delle più svariate estrazioni. E si mettono alla prova, innescando un processo di emulazione, teso a identificarsi con quelli già pronti. Al contempo, emerge la necessità di mantenere elevato il livello prestativo in chi magari è maggiormente evoluto. Ma deve comunque scambiare in allenamenti accaniti“.
Il punto da approfondire sta proprio nell’accettazione delle diverse identità tecniche. Nel senso che ormai non esiste un unico progetto funzionale a sviluppare le capacità in età giovanile. Nonostante ci sia comunque una certa riconoscibilità nello stile del kumite espresso dai singoli paesi.
“La gara ha offerto sicuramente degli interessanti spunti di riflessione. Per esempio, in una categoria, ai Quarti, bel 6 atleti erano di nazionalità ucraina. Ciò significa che nonostante stiano attraversando un periodo assai difficile dovuto al conflitto, la qualità del lavoro non è mai venuta meno. E che dire dei paesi africani del bacino del mediterraneo, nuovi e competitivi players sulla scena internazionale. Penso che siano il termometro di come taluni costruiscano e coltivino il talento in maniera diversa rispetto all’Italia. Da noi prima dei 12 anni, ovvero da Esordienti, non è assolutamente consentito svolgere attività agonistica, ma solo ludica. Altrove, invece, è possibile già a 8 anni. Evidente la differenza di quattro anni, che sul piano internazionale, determina poi uno sbilanciamento dei valori, spesso a nostro sfavore. Ovviamente, le norme stabilite dal Coni in materia di sicurezza sanitaria, volta a tutelare la salute dei giovani praticanti, sono incontrovertibili. Resta il fatto che la medesima sensibilità non è garantita in altri contesti. Ma poi tutti facciamo parte della stessa federazione mondiale, la WKF“.
Ranking e potenzialità da scovare e coltivare
L’Italia ha fatto una scelta precisa, affidandosi a protocolli consolidati, che permettono di programmare in modo minuzioso i vari step di crescita.
“Il ranking consente di dare una valutazione oggettiva. Chiaro che è uno strumento comunque perfezionabile. Specialmente nel momento in cui c’è il cambio di categoria, che determina poi il dimezzamento dei punti conquistati in precedenza. E’ pur vero che la situazione va analizzata anche da un altro angolo visuale, cioè dal lato di chi, già da un paio di stagioni agonistiche occupa una posizione nella categoria maggiore, dove ha conquistato i suoi punti a fronte di un impegno fisico e tecnico diverso. Più oneroso. Non va trascurato poi il sistema dei punti che concorrono a generare il ranking. Ennesimo elemento che fa la differenza e caratterizza l’agonismo. Nel round robin, i karateka sono divisi in gruppi di tre o quattro concorrenti ciascuno. I partecipanti di ogni gruppo si scontreranno tutti tra loro per determinare i vincitori che andranno alle finali. Ennesimo sistema che screma il talento“.
Segno che le fondamenta del sistema teso al reclutamento dei futuri campioncini (o presunti tali…) regge anche alle mode passeggere.
“Non è mai facile costruire atleti vincenti. Anzi, spesso si edifica sulle rovine di sconfitte, che stimolano poi una reazione positiva. Quel senso di amor proprio che fortifica il carattere, e fa da carburante per rinnovare l’entusiasmo. Specialmente a fronte di un risultato negativo. Il kumite (combattimento a contatto controllato, n.d.a.) è situazionale. Inoltre, concorrono a rendere imprevedibile il percorso di gara, per esempio, la struttura della pool, che accorpa alcuni tra i migliori da un lato del tabellone, liberando spazio altrove. A questi livelli, tuttavia, salvo forse il primo incontro nelle fasi eliminatorie, per andare a medaglia bisogna affrontare almeno sei/sette avversari. Insomma, affinché le abilità, intese come capacità tecnico-tattiche, si stratifichino al punto tale da trasformarsi in competenze radicate, ci vuole apprendimento e allenamento. Rispetto a un atleta senior, che magari fa una maggiore analisi critica di quanto gli viene proposto, la fascia giovanile è come una spugna: bisogna colmare il loro cuore di interrogativi, per riempirgli gli occhi e la testa di nuove consapevolezze. Non solo sul tatami“.
Ben venga, però, il coraggio di andare controcorrente, di osare, di cambiare lo status quo. D’altronde, le rivoluzioni importanti, quelle che hanno fatto la storia, sono iniziate tutte così.
“In definitiva, le fasce giovanili sono affamate di sapere, e assorbono come delle spugne. Ma la loro salute psicofisica non va assolutamente messa in discussione ai fini di una vittoria. Perciò le regole dettate dal Coni sono indirizzate a evitare la specializzazione precoce. Il karate, al di là di chi sceglie le gare, resta una disciplina formativa. In grado di fare da deterrente al disagio sociale imperante. Con i ragazzi che usciti dalle palestre si trovano comunque a vivere le frustrazioni di una quotidianità, dove la negazione di certi valori è ormai imperante. Non a caso, all’interno della Federazione, è data pari dignità a tutti: amatori, Master e karate paraolimpico, destinato alle disabilità neuromotorie, permettono di non escludere nessun praticante. Chiaramente, la scelta dell’agonismo è faticosa. Impone sacrifici, per l’atleta e anche per le famiglie, che devono supportarlo economicamente. In tal senso, la contrazione degli arruolamenti nei Corpi Militari ha privato di adeguato sostegno chi voleva fare del karate la sua professione. Oggi c’è una grande dispersione, anche di atleti con un curriculum importante. Spesso alla fine del percorso scolastico superiore in tanti scelgono di monetizzare il loro tempo, abbandonano il tatami. Dobbiamo esserne consapevoli. E continuare a lavorare, in qualità di tecnici ed educatori…“.
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