Il gol rifilato al Cagliari con una volteggiante sforbiciata degna di finire nella cineteca della stagione 2024/25 rappresenta per Scott McTominay la perfetta chiusura del cerchio. Le cifre dello scozzese, infatti, ne certificano la centralità nel Napoli Campione d’Italia, con ben 12 gol e 4 assist. Numeri fuori da ogni logica per un centrocampista. Nessun altro in Serie A che occupa quel ruolo può vantare queste statistiche. Ovviamente, non solo per questo motivo s’è aggiudicato il premio di MVP del campionato. È più una questione di caratteristiche tecnico-tattiche se McT ha impattato in maniera così determinante sul gioco della squadra partenopea. Infatti, al di là del piano-gara predisposto di volta in volta dall’allenatore, l’ex Manchester United condiziona la manovra, dimostrandosi sostanzialmente immarcabile, sia se gli azzurri dominano il possesso, che in situazione di controllo del ritmo.
Il Napoli cambiava faccia (e forma) al suo modulo, mentre lui restava sempre lì nel mezzo, leader imperturbabile e trascinatore della mediana, coriaceo come il Braveheart di Mel Gibson. In un calcio sempre più orientato alla fluidità posizionale, dove la tradizionalità dei ruoli è diventata una concezione arcaica, prepotentemente soppiantata dalle funzioni svolte a seconda della zona di campo occupata in quel momento, “McFratm” – come ormai l’hanno ribattezzato i napoletani, sulla scorta dell’iconico soprannome coniato da Pasquale Mazzocchi -, rappresenta il prototipo del moderno midfielder. Un inarrivabile tuttocampista, in grado cioè di strappare con l’uomo addosso, nel classico inserimento offensivo della mezzala, nella trequarti altrui. Piuttosto che collaborare in attacco con Lukaku, trasformandosi all’occorrenza in letale incursore, efficace nell’allinearsi negli ultimi sedici metri a Big Rom. Senza trascurare che a tempo perso si associava a Lobotka, per amministrare il pallone, permettendo allo slovacco di rifiatare, avendo un’alternativa plausibile nella gestione dell’attrezzo in situazione di traffico a metà campo.
Dinamismo e versatilità sono dunque gli strumenti che hanno consentito a McTominay di imporsi all’esordio in A, mantenendo altissimo il livello del suo rendimento. Insomma, una stagione da assoluto dominatore, tecnico ed emotivo, che ha convertito gli anni passati coi Red Devils in un lontano ricordo. La scorsa stagione Ten Hag l’aveva relegato ai margini del suo progetto (fallimentare…), pagando poi con l’esonero averne follemente avallato la cessione. Bisogna dare quindi atto al diesse Manna di aver saputo approfittare l’ultimo giorno di mercato estivo del malessere di Scott, comunque voglioso di giocare con continuità. E della scarsa lungimiranza del management inglese. Del resto, è una qualità che accomuna i vincenti: andare a caccia di nuove esperienze professionali, utili a spostare in avanti l’asticella delle ambizioni. In una parola, superare i propri limiti, lasciando una traccia indelebile nella Storia. Perchè vincere uno scudetto resta una cosa enorme, farlo da miglior giocatore del campionato lo è ancora di più. E McFratm ne è pienamente consapevole.
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