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Giancarlo Siani è un collaboratore precario de “Il Mattino”. Articolo dopo articolo si conquista la fama di cronista specializzato in una terra senza confini precisi e delineati, dove spesso la camorra si sostituisce allo Stato. Giancarlo Siani proviene dai quartieri alti e ricchi di Napoli, dal Vomero, ma lavora a Torre Annunziata, che non è un paese ma una città nella città. Case popolari fatiscenti, cresciute negli anni del boom economico e della speculazione edilizia. Torre Annunziata non è un paese, ma é ancora Napoli.

La sera del 23 settembre 1985. Le 21,40. Quarant’anni fa. Giancarlo Siani sta tornando a casa con la sua auto. I killer della camorra lo attendono sotto la sua abitazione a piazza Leonardo, e lo uccidono.

Il nastro si riavvolge e ci riporta al 27 aprile 1981. Le Brigate Rosse guidate da Giovanni Senzani sequestrano il presidente della Commissione per la ricostruzione del terremoto, l’assessore regionale democristiano Ciro Cirillo. Intono alle 21,45, il commando delle bierre sorprende l’auto blindata della Regione Campania sotto l’abitazione dell’Assessore. Vengono assassinati Mario Cancello, autista di Ciro Cirillo e il brigadiere Luigi Carbone. I terroristi feriscono alle gambe il segretario di Cirillo, Ciro Fiorillo. L’Assessore viene subito caricato su un furgone.

Nella sua carriera politica, Ciro Cirillo ricopre numerosi incarichi importanti. Sindaco di Poggioreale e di Torre del Greco; Presidente della provincia di Napoli; già presidente della giunta regionale.Quando viene rapito dalle Brigate Rosse, Cirillo è responsabile della Regione Campania per la ricostruzione dell’Irpinia, colpita da un violento terremoto il 23 novembre 1980. Centinaia di morti.

Nel 1981, Ciro Cirillo è un personaggio importante nella geografia politica della Campania. E’ da sempre vicino ad Antonio Gava, a quei tempi ministro dell’Interno. Ciro Cirillo gestisce ingenti fondi. I soldi devono essere impiegati per la ricostruzione delle zone terremotate. Cirillo diventa lo snodo di tutti gli affari. Tiene rapporti con imprenditori per la distribuzione degli appalti.Un giro di migliaia di miliardi di vecchie lire.

Ciro Cirillo rimane per 89 giorni chiuso in un gabbiotto dentro un covo brigatista. Subisce “bombardamenti” in cuffia di musica rock e interrogatori pressanti. Giovanni Senzani, ideatore e regista del sequestro rivolge le domande. In quelle settimane le bierre fanno ritrovare volantini e comunicati, accusando Cirillo di essere il “boia della speculazione”. In un ultimo comunicato le bierre, dichiarano” il tribunale del popolo ha condannato il boia Ciro Cirillo alla pena di morte”. A quel punto, le Brigate Rosse diffondono un video in cui si vede l’assessore in penombra mentre Giovanni Senzani pronuncia la sentenza di morte.

Ma qualcosa, o meglio qualcuno, interrompe il piano. Ciro Cirillo non viene ucciso. Con un comunicato del 22 luglio 1981, i brigatisti annunciano di “aver espropriato a Cirillo, alla sua famiglia e al suo partito” una forte somma di quattrini. Un riscatto, un miliardo e 450 milioni di vecchie lire. Il 23 luglio 1981, l’Assessore viene liberato. I terroristi lo lasciano imbavagliato e incappucciato nei pressi del Carcere di Poggioreale.

Ciro Cirillo riesce a liberarsi e incontra una pattuglia della polizia stradale. Gli agenti lo caricano in macchina e si indirizzano verso la Questura di Napoli. La pattuglia della stradale viene raggiunta da alcune volanti e subito accerchiata. C’é un violento alterco. Gli agenti delle volanti trasportano Ciro Cirillo nella sua abitazione, a Torre del Greco. Anche il segretario della Democrazia Cristiana Flaminio Piccoli e il ministro dell’Interno Antonio Gava si spostano in fretta a Torre del Greco.

Fino a qui sembra quasi tutto normale. Un Assessore della Regione Campania, un nucleo delle Brigate Rosse, la politica, gli affari. Ma come in ogni giallo che si rispetti entra in scena un elemento in grado di rappresentare la risoluzione del caso. Un soggetto che porta un nome e cognome preciso: Raffaele Cutolo, l’uomo che nonostante la detenzione riesce a intimidire perfino giudici e magistrati nelle aule del Tribunale.

Il boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Ascoli Piceno. Nonostante la detenzione, controlla Napoli e l’intera Campania. Dal carcere infatti invia ordini precisi ai camorristi ancora in libertà: affari, appalti, traffico di droga e armi, omicidi, ferimenti. Ad Ascoli Piceno si reca un certo avvocato Acampora. Cutolo capisce che si tratta di un’altra persona. Infatti, in pochi giorni, l’uomo si qualifica come Giorgio Criscuolo, funzionario del SISDE, il servizio segreto civile. Lo Stato chiede l’aiuto di Cutolo e della Camorra per liberare Cirillo rapito dai Brigatisti Rossi.

Il Sisde deve interrompere le trattative con Cutolo e al suo posto subentra stranamente il SISMI, il servizio segreto militare. Le trattative vengono ora gestite dall`ufficio di controllo e sicurezza interna del Sismi. I generali Santovito e Musumeci, il colonnello Belmonte sono tutti iscritti alla loggia massonica P2 di Licio Gelli, tutti condannati in via definitiva per i gravi depistaggi successivi alla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Il carcere di Ascoli Piceno sembra la stazione di Milano all’ora di punta. Da Raffaele Cutolo vanno politici, militari del Sismi, camorristi condannati e addirittura latitanti come Vincenzo Casillo, luogotenente di Cutolo. Nell’operazione Cirillo in molti però commettono errori. Gli inquirenti accertano il pagamento di un riscatto di un miliardo e 450 milioni di lire e dopo un’oscura trattativa a cui parteciparono brigatisti, boss della nuova camorra organizzata come Raffaele Cutolo, i vertici del Sismi, Giuseppe Santovito, Pietro Musumeci e il faccendiere legato ai servizi segreti Francesco Pazienza. Mesi dopo anche Ciro Cirillo ammetterà il pagamento di un riscatto. E Raffaele Cutolo, nelle aule dei Tribunali si vanterà più volte di aver salvato la vita a Ciro Cirillo.

Proprio nel 1981, nei mesi in cui viene rapito Ciro Cirillo, inizia la vita di giornalista precario di Giancarlo Siani. Per la redazione di Castellammare di Stabia del “Mattino” é un corrispondente da Torre Annunziata. Siani scrive di cronaca nera, ma anche di scuola. Del mondo giovanile conosce tutto ma la sua passione resta la nera, e in particolare le vicende legate alla malavita organizzata nella zona vesuviana. A quel tempo si era appena conclusa la guerra che opponeva la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo ai clan della Nuova Famiglia dei Nuvoletta, Bardellino e Alfieri, legati a Cosa nostra. Siani collabora con il bollettino “Osservatorio sulla Camorra”. Giancarlo Siani segue una doppia pista per raccontare scontri e alleanze tra i camorristi che hanno battuto sul campo Cutolo.

Domenica 26 agosto 1984. E’ il giorno di S. Alessandro. Presso il Circolo dei pescatori di Torre Annunziata arriva un autobus carico di killer, sul cruscotto un cartello: “gita turistica”. Nella chiesa si sta celebrando per molti bambini la prima comunione. I killer scendono dall’autobus e iniziano a sparare. Otto morti, sette feriti. Il giorno dopo Giancarlo Siani racconta la strage sulle pagine di cronaca del Mattino.

10 giugno 1985. Sulle pagine del Mattino racconta quasi in diretta l’arresto del boss della camorra Valentino Gionta, “cantato” dai Nuvoletta per patteggiare una tregua con i clan rivali. E’ il giorno in cui firma la sua condanna a morte perché svela una realtà infamante per il codice camorrista: il tradimento.

È proprio il traffico dell’eroina uno degli elementi di conflitto con gli altri clan in particolare con gli uomini di Bardellino che a Torre Annunziata avevano conquistato una fetta del mercato. I due ultimatum lanciati da Gionta (il secondo scadeva proprio il 26 agosto) sono alcuni dei motivi che hanno scatenato la strage. Ma il clan dei Valentini tenta di allargarsi anche in altre zone. Il 20 maggio a Torre Annunziata viene ucciso Leopoldo Del Gaudio, boss di Ponte Persica, controllava il mercato dei fiori di Pompei. A luglio Gionta acquista camion e attrezzature per rimettere in piedi anche il mercato della carne. Un settore controllato dal clan degli Alfieri di Boscoreale, legato a Bardellino.

Nell’estate del ’85, Giancarlo Siani viene trasferito alla sede centrale di Napoli per una sostituzione stagionale. Lui continua imperterrito ad occuparsi di storie di camorra. Passano tre mesi e viene ucciso.

Le indagini del procuratore di Napoli Francesco Cedrangolo sull’omicidio Siani sono immediate. Viene indicato il possibile esecutore. Il 27 settembre 1985, viene arrestato Alfonso Agnello, riconosciuto da un garagista sul luogo del delitto. Ma lui possiede un alibi di ferro: era stato multato dai vigili urbani a Castellammare di Stabia, solo un’ora prima. Dopo un anno, il procuratore generale della Repubblica di Napoli Aldo Vessia avoca a sé l’istruttoria e il 19 ottobre del 1987 ordina gli arresti di Giorgio Rubolino, Giuseppe Calcavecchia e Ciro Giuliano. Giancarlo Siani sarebbe stato punito per aver indagato sui traffici di Giuliano a Torre Annunziata. Ma il castello accusatorio di Vessia cade per insufficienza di prove e il 22 dicembre del 1988 il giudice istruttore Guglielmo Palmeri proscioglie gli imputati per non aver commesso il fatto.

Nel 1993 si è vicini alla verità. In seguito alle rivelazioni del pentito Salvatore Migliorino, il Pm antimafia Armando D’Alterio riapre le indagini. Migliorino dice di conoscere i killer che uccisero Siani. D’Alterio inizia ad indagare sul connubio tra politica e camorra nella gestione del territorio vesuviano. È l’inizio di tangentopoli. Sindaci, amministratori locali, funzionari e camorristi finiscono in carcere. Da questo filone d’indagine emergono le responsabilità per il delitto Siani. Il giovane “abusivo” del Mattino aveva svelato l’incrocio tra politica e criminalità nella gestione del territorio di Torre Annunziata: i mercato ittico, il controllo del porto, la bonifica del quartiere Quadrilatero, le carceri, la ricostruzione del dopo terremoto in Irpinia del 1980. Dicembre 1994. Domenico Bertone, ex sindaco socialista di Torre Annunziata, e il boss Valentino Gionta, sono indagati per l’omicidio Siani. L’accusa per Bertone finirà archiviata. 15 aprile 1997 la seconda sezione della Corte d’Assise di Napoli condanna all’ergastolo i mandanti dell’omicidio di Giancarlo Siani.

Angelo Nuvoletta, Valentino Gionta e Luigi Baccante; e gli esecutori: Ciro Cappuccio e Armando Del Core. La Corte di Cassazione confermerà tutte le condanne, tranne quella di Valentino Gionta, per il quale è stato necessario un secondo processo d’Appello. Il 29 settembre del 2003 la Corte d’Assise d’Appello di Napoli conferma la sentenza di ergastolo per Gionta, mentre il giudizio definitivo della Cassazione lo scagiona per non aver commesso il fatto.

Tutto chiaro? Non precisamente. Sono molte le zone d’ombra del delitto di Giancarlo Siani. Il giornalista raccontò gli affari della camorra in un ambiente difficile, stretto tra censure, minacce e disinteresse.  La ricostruzione delle infrastrutture dopo il terremoto del 1980 interessa tutta l’area. Il 27 Aprile del 1981 nel garage di via Cimaglia a Torre del Greco le Br di Giovanni Senzani sequestrano l’assessore ai Lavori Pubblici della Regione Campania Ciro Cirillo. Nell’azione perdono la vita un’agente di scorta e l’autista. Ciro Cirillo è uomo vicino ad Antonio Gava, viene tenuto nascosto per 89 giorni. Lo Stato, attraverso i funzionari dei servizi segreti, avvia trattative con Raffaele Cutolo, detenuto nel carcere di Ascoli Piceno. Cirillo é delegato alla ricostruzione del post-terremoto. Un gigantesco affare troppo interessante per Cutolo.

Giancarlo Siani ricostruisce le trame del potere camorristico, le alleanze politiche e affaristiche. Equilibri che vengono messi in pericolo dalle sue cronache che partono proprio dalla tangentopoli opontina. Dalle indagini emerge che Siani lavora ad un dossier e ad un libro sulla malavita a Torre Annunziata. Il giorno dell’omicidio Siani chiama Amato Lamberti, fondatore dell’Osservatorio contro la camorra e Presidente della Provincia di Napoli. E’ preoccupato, vuole raccontargli qualcosa d’importante.

Il mistero italiano di Giancarlo Siani si imbatte contro un muro di gomma, contro il quale nulla hanno potuto le indagini giudiziarie, che hanno sconfitto i camorristi, ma non i loro legami con la politica. Ma restano ancora impresse su carta, le parole scritte da Giancarlo Siani nel suo ultimo articolo.

«Li chiamano i “muschilli”, gli spacciatori in calzoncini, i corrieri-baby. Un “lavoro” da intermediario, un compito di appoggio. Il ragazzo di dodici anni di Torre Annunziata non è né il primo né l’unico caso. A maggio scorso il caso di Gennarino di Secondigliano, a dieci anni forzato dalla droga. Ma tanti altri ancora. Quanti ne sono? Impossibile azzardare un dato statistico, certo è che il fenomeno esiste in proporzioni molto più vaste di quanto si creda. Gli spacciatori li utilizzano per non correre rischi. I “muschilli” sono agili, si spostano da un quartiere all’altro e soprattutto non danno nell’occhio, sfuggono al controllo di polizia e carabinieri. Ma soprattutto sono minorenni: anche se trovati con la bustina di eroina in tasca non sono imputabili. Ed ecco che il meccanismo perverso dello spaccio di droga li coinvolge. Generalmente si muovono seguiti a poca distanza dal “manager-spacciatore” contattato il tossicodipendente parte la staffetta con la droga, consegna, incassa i soldi e torna. A Torre Annunziata la stessa tecnica, a dirigere il ragazzo era la nonna. Come del resto faceva cinque o sei anni fa quella madre a San Biagio dei Librai a Napoli che si serviva dei tre figli per portare in strada l’eroina, fino a quando non è stata arrestata. Ragazzi, molto spesso bambini, già inseriti in un giro di “droga”. Per loro quale futuro? Se non diventano consumatori di eroina, se riescono a sopravvivere è difficile che possano imboccare altre strade che non siano quelle dell’illegalità, dello spaccio diretto, dello scippo, del furto. E in provincia di Napoli lo spaccio della droga è diffuso, ramificato, controllato dai grossi clan della camorra. A Torre Annunziata un traffico che fino all’agosto dell’anno scorso era direttamente gestito dal boss Valentino Gionta. Dai grandi distributori alla vendita al dettaglio ed in questa seconda attività è più facile organizzarsi in proprio, poche bustine per guadagnarsi da vivere ma l’eroina entra in casa diventa famigliare, anche per i ragazzi».

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