Tutti ricordano quel giorno di 33 anni fa, il 23 maggio 1992, una data indelebile nella memoria personale e collettiva, il giorno della strage di Capaci.
Fu Giovanni Brusca, dalla collina che domina Capaci, a scatenare l’inferno sull’autostrada, dove erano stati piazzati 500 chili di tritolo. La carica di esplosivo preparata dall’artificiere Pietro Rampulla e messa sotto un tunnel fa volare l’auto di Giovanni Falcone. Il giudice viene ucciso insieme alla moglie ai tre agenti di scorta: Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. La moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, morirà poco dopo in ospedale. L’autista Giuseppe Costanza si salva
Falcone è l’uomo che, con l’apporto di decine di collaboratori a partire da Tommaso Buscetta, ha ricostruito la struttura militare e verticistica della mafia, ha individuato esecutori e mandanti della grande mattanza di Palermo, ha allargato le maglie delle relazioni tra Cosa nostra e il potere. Con Paolo Borsellino e gli altri componenti del pool di Antonino Caponnetto ha istruito il maxiprocesso e mandato a giudizio un esercito di 474 imputati.
La sorte di Falcone toccherà a Borsellino, a soli 57 giorni di distanza, quel drammatico 19 luglio del 1992, un’altra data scolpita nella storia.